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Tiger Woods, il mito del golf: l'incoronazione nella Hall of Fame

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Stefano Marazzato
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Cosa possiamo ancora dire di Tiger Woods che non sia già stato detto? O che le sue imprese sportive non abbiano già raccontato? Dobbiamo assolutamente celebrare il suo ingresso nella World Golf Hall of Fame, lo scorso 9 marzo, con una cerimonia molto toccante, ad un anno dal grave infortunio che lo ha allontanato dalle gare del circuito. È indubbio che Tiger sia il golf, che Tiger abbia fatto la storia del golf più di chiunque altro e che tutto il movimento professionistico ne abbia beneficiato in modo considerevole, dai giocatori agli sponsor, ai montepremi, ai media, agli amateurs. Il golf è diventato fenomeno globale da quando questo ragazzo della California ha iniziato a vincere sul PGA Tour, modificando in modo sostanziale quello che era uno sport per pochi, per farlo diventare uno sport per tanti e alla portata di tutti.

 

 

 

Seicentottantatre settimane da numero uno, 15 majors, 82 successi nei tornei, dieci volte Player of the Year e altrettanti primi posti nella money list. La figlia Sam ha tenuto il discorso di introduzione alla cerimonia, visibilmente emozionata, mentre il padre attendeva in platea il suo momento. E quando è toccato a lui parlare, Tiger non è riuscito a trattenere l'emozione, raccontando dei suoi esordi, della sua famiglia e di suo padre in particolare. Nelle sue parole c'è tutta la grandezza dell'uomo, prima ancora che del campione.

 

 

 

«Voglio con me tutti coloro che mi sono stati vicini e che fanno parte della mia vita: la mia famiglia, la fondazione. Questo è un traguardo importante della mia carriera e ci ho messo 26 anni per raggiungerlo, un periodo lungo. Avrei voluto che mio padre fosse stato qui a vedermi perché è lui che mi ha fatto iniziare a giocare, ma mia madre ci sarà. È lei che mi ha portato a tutti i nostri tornei giovanili nel sud della California: ci alzavamo e andavamo a giocare il campionato peewee, poi un torneo per minorenni a Riverside. A volte stavamo in auto un'ora, un'ora e mezza, bloccati sulla 91 senza che lei si lamentasse mai. Teneva il punteggio e spiegava com' era andata a mio papà quando tornavamo a casa. Per questo per me è così speciale». E con la voce rotta dall'emozione Tiger ricorda anche gli episodi di discriminazione razziale che lo hanno visto escluso da alcune Clubhouse. Discriminazione spazzata via a suon di titoli e trofei conquistati dal Greatest of all Time. 

 

 

 

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