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Internazionali d'Italia, Filippo Facci: perché il governo deve lasciar giocare i russi a Roma

Filippo Facci
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Non c'è niente da aggiungere quando persone più autorevoli di te hanno già espresso un'opinione convergente: basta quella. Però qualche informazione e qualche indiscrezione servono sempre.
1) Mario Draghi, prima di vietare la partecipazione di tennisti russi agli Internazionali d'Italia, sta semplicemente prendendo tempo: perché sinora non c'era mai stata una reazione rivelatasi così impopolare come quella seguita alla decisione di porre analogo divieto a Wimbledon.
2) Molti non sanno che a Wimbledon capitò la stessa cosa con i tennisti italiani e giapponesi e tedeschi: era il 1946, le loro nazioni avevano perso la guerra e tutto sommato fu un bello schifo anche quello.
3) Già ora i tennisti russi non vedono innalzata la loro bandiera, non suona il loro inno e sull'argomento non hanno proferito verbo, a parte Andrey Rublev (numero 8 del mondo) che ha scritto «pace» sul vetro di una telecamera, e Daniil Medvedev (numero 2) che ha solo detto «ho le mie opinioni e ne parlo con la mia famiglia», ma ha fatto capire di non essere per niente concorde con Putin.

 

 

SILENZI E PIANTI
Si sono limitati a tacere - come sempre, su tutto - i vari Karatseve Ivashka e la varie e impronunciabili Pavlyuchenkova, Sabalenka, Kasaktina e Azarenka: quest' ultima è solo esplosa in un pianto irrefrenabile durante una partita. Tra ipochissimi a lamentarsi, sinora, c'è stato solo l'ex tennista ucraino Aleksandr Dolgolopov, che ha smesso l'anno scorso: ha lamentato che «nessuno mi ha telefonato per sapere come sto».

Non esiste uno sportivo più apolide del tennista professionista, inteso come senza cittadinanza, errante e sradicato: è un giovane che passa undici mesi all'anno in giro per il mondo, spesso non si è fatto una famiglia (ne avrà tutto il tempo) e nel solo mese di pausa non torna quasi mai nella terra natìa, perché torna solo dove ha scelto di allenarsi: in Spagna, in Italia, negli Stati Uniti o comunque in posti che non sono quasi mai la Russia. Il tennista è solo, lo segue al limite una fidanzata (che in genere dura poco, o è una tennista pure lei) mentre la sua famiglia itinerante è costituita - ad alti livelli - dall'allenatore, il preparatore atletico, il massaggiatore, e talvolta il motivatore psicologico che è necessario a una professione straniante: si viaggia in continuazione, con orari sballati, e anche le programmazione nei tornei è complicata, perché non si sa se si sarà eliminati al primo turno o magari si giungerà sfiniti alla finale, quando magari, di torneo, ne è già cominciato un altro. Ci sono tennisti che hanno dovuto rinviare il matrimonio perché non contavano di avanzare così tanto nel tabellone.

Non è un caso se la tennista australiana Ashleigh Barty si è appena ritirata, a 25 anni, dopo aver passato gli ultimi tre da numero 1 al mondo, e nonostante avrebbe potuto monetizzare per chissà ancora quanto tempo la sua condizione; hanno parlato pubblicamente delle loro depressioni l'austriaco Dominic Thiem e Nick Kyrgios, mentre Andre Agassi ci ha scritto un libro (Open) che è uno dei più straordinari successi editoriali mai visti nel settore sportivo; la giapponese Naomi Osaka ha osato parlarne durante una conferenza stampa, trattenendo le lacrime («non so quando giocherò la prossima partita»), e il solo averlo fatto l'ha spinta a ritirarsi dal Roland Garros. Ricordiamo che fu meramente un cedimento psicologico a convincere uno dei più grandi tennisti di sempre, Bjorn Borg, a ritirarsi a soli 25 anni.

A Wimbledon - ha scritto il Telegraph - sulla decisione di escludere i tennisti russi e bielorussi avrebbe pesato l'eventuale «imbarazzo» della possibile premiazione di un favorito come Medvedev coi Reali a consegnargli il trofeo: una scemenza tutta inglese, peraltro evitabile (l'anno scorso a premiare il vincitore fu la duchessa di Cambridge) e comunque sai che gliene importa del «profil» britannico all'Atp e alla Wta, le due associazioni che riuniscono i tennisti professionisti: e infatti entrambe - compreso l'italiano Filippo Gaudenzi, presidente dell'Atp da due anni - hanno definito il gesto «ingiusto, deludente e discriminatorio». Dicono che Mario Draghi abbia già deciso di imitare Wimbledon con gli Internazionali d'Italia, ma ciò che aveva già reso criticabili le raccomandazioni del Cio (il Comitato Olimpico Internazionale, che aveva semplicemente «consigliato» alle federazioni sportive di non ammettere atleti russi o bielorussi) è esploso con le contraddizioni che il tennis ha reso evidenti.

Wimbledon è un torneo ufficialmente organizzato da privati, mentre a complicare le cose sulla terra rossa della Capitale c'è che gli Internazionali sono gestiti da Atp e Wta (con Federtennis) e, oltre alle proteste, striscia qualche timore di possibili sanzioni riservate al tennis italiano e ai suoi tornei. Gli addetti ai lavori appaiono divisi tra - nostro parere -burocrati e liberi pensatori: il tremebondo Giovanni Malagò (presidente Coni) si allinea «con quanto deciso dal Cio» e la sottosegretaria Valentina Vezzali si è detta «al fianco degli atleti ucraini», mentre Adriano Panatta ha parlato accoratamente di «stronzata... decisione scandalosa, politica che ancora una volta si impiccia di sport».

 

 

BOICOTTAGGIO TOTALE
In sintonia è l'ex campione e membro del comitato d'onore degli Internazionali Nicola Pietrangeli: «I giocatori russi abitano tutti fuori dal proprio Paese, ma che gliene frega a Zelensky o a Putin se giocano a Wimbledon?». Paolo Bertolucci, ex campione anche lui, miglior telecronista italiano di tennis, ha citato dei precedenti e ha ipotizzato quanto sarebbe bello se tutti i tennisti a questo punto boicottassero Wimbledon. E Panatta gli dà ragione: «I tennisti russi sono delle persone, non sono una nazione. Peraltro hanno anche dissentito sulla guerra... Posso ancora comprendere un contesto olimpico, la Coppa Davis, i campionati del mondo, cioè un contesto dove si rappresenta la nazione: ma questo? Mi chiedo: questo ragionamento vale per qualsiasi professionista russo sul suolo inglese? Che so, a un ingegnere viene impedito di svolgere l'esercizio della sua professione? Così com' è, è una forma di razzismo... Perché usare i tennisti per fare pressioni su Putin, che non si fila manco i governanti degli altri paesi?». Niente da aggiungere.

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