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Sebastian Vettel, la dignità di un campione cresciuto nel mito di Schumacher: perché ci mancherà

Leonardo Iannacci
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Negli ultimi tempi si parlava di Vettel più per le sue campagne ecologiste e contro la guerra in Ucraina che per i risultati ottenuti in pista. Eppure erano ancora tanti i tifosi che sostenevano Sebastian Vettel, quattro volte campione del mondo di Formula 1 con la Red Bull e sfortunato pilota in Ferrari dove ha soltanto sfiorato l’iride (nel 2017 e 2018) per poi disperdersi in un fine carriera stentato, al volante di un’Aston Martin non competitiva e incapace di fornire a questo simpatico tedesco-napoletano i mezzi giusti per tornare al top.

 

Così Seb, dopo 290 gran premi disputati con 53 vittorie e il terzo posto tra i piloti di ogni tempo a essere salito sul podio (122!), ha annunciato l’addio ieri a Budapest dove il mondiale ha in calendario il gran premio dell’Hungaroring: “La decisione di ritirarmi è stata difficile e ci ho pensato a lungo” ha detto ai box del circuito ungherese, e non senza sorridere, un sereno Vettel. Pilota che ha sempre tenuto moltissimo alla propria privacy, difatti non si ricordano immagini della moglie e dei figli. “Alla fine dell'anno mi prenderò del tempo per riflettere su cosa focalizzarmi in futuro. Chiaramente, essendo padre, vorrò trascorrere più tempo con la mia famiglia. Ma oggi non si tratta di dire addio. Voglio piuttosto ringraziare tutti, soprattutto i tifosi, senza il cui appassionato supporto la Formula 1 non potrebbe esistere”.

Le ultime stagioni del 35enne pilota nato ad Hoppenheim che ha i Beatles come passione, difatti colleziona pezzi rari della band di Liverpool e quando incrociò Paul McCartney ai box del gran premio di Dubai 2016 quasi svenne per l’emozione, sono stati avari di risultati: “Ho corso per Aston Martin cercando di adattare il mio stile di guida molto sensibile e, sebbene i nostri risultati non siano stati buoni come sperato, mi sembra chiaro che abbiamo preparato tutto per far competere al top chi guiderà queste monoposto negli anni a venire”.

Cresciuto nel mito di Schumacher, ha seguito le orme di Kaiser Michael in Ferrari. Una volta ci raccontò che, da bambino, aveva preso il treno dalla Germania fino a Maranello per assistere ai test che Schumi faceva sulla pista privata della Ferrari, ma non gli fu permesso di entrare e ci rimase malissimo. Ci arrivò poi nel 2015, a Maranello, da campione del mondo: “Dal 2013 ad oggi ho avuto il privilegio di lavorare con tante persone fantastiche in Formula 1, troppe per poterle elencare tutte. I ricordi sono tanti e felici, dalla prima vittoria con la Toro Rosso a Monza in una splendida giornata di pioggia ai mondiali vinti con Red Bull sino alle 14 vittorie con la Ferrari”.

 

La Formula 1 perde un grande pilota che ha ottimizzato tra il 2011 e il 2014 le doti migliori delle Red Bull realizzate da quel mago della tecnica che è Adrian Newey, per poi incappare in cambi di regolamento che, dal 2016, lo hanno osteggiano. Soprattutto nel suo stile di guida tutto improntato su un certo tipo di frenata che gli è stata impossibile durante i suoi anni ferrarista. Quando si è trovato di fronte le Mercedes imbattibili di Hamilton e Rosberg.

Visti i risultati deludenti degli ultimi tempi, i detrattori di Sex hanno coniato una facile battuta nel segno della malignità: “Si era ritirato già da tempo…” In realtà la dignità con la quale Vettel ha provato a migliorare la scadente Aston Martin che aveva tra le mani sottolineano la professionalità e la filosofia del lavoro che questo pilota quattro volte campione del mondo ha sempre evidenziato. Altri che hanno vinto molto meno di Seb dovrebbero imparare molte cose da lui. E parlare di meno.

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