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Cristiano Ronaldo usa il "metodo-Juve": come prova a fuggire dallo United

Claudio Savelli
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Cristiano Ronaldo fa i capricci. Di nuovo. È evidentemente l'unico modo rimasto per andarsene da un club. D'altronde è ormai prigioniero dei multimilionari contratti che ha conquistato a suon di gol ma che nel calcio d'oggi nessuno può e vuole più garantire ad un 37enne. Il Manchester United lo paga infatti 385mila sterline a settimana, pari a circa 450mila euro, ovvero 23,5 milioni netti all'anno: sono 7,5 in meno rispetto ai 31 che guadagnava alla Juventus ma comunque uno sproposito in relazione all'età. Il calcio non si fa con il passato ma con il presente che guarda al futuro e Cristiano, in questo senso, non è più un valore aggiunto, anzi. Oltre a come si atteggia, infatti, non copre un ruolo previsto dal gioco contemporaneo: nessuna formazione può più permettersi un attaccante libero da qualsivoglia compito difensivo, un puro finalizzatore concentrato quasi solo sul tiro in porta. L'ultimo Ronaldo porta gol (18 in 30 presenze nell'ultima Premier più 6 in Champions) ma compromette la costruzione logica di una squadra.

 

Non offre più nemmeno la leadership di cui è stato capace, ad esempio, nel Portogallo campione d'Europa 2016. Pensa solo a se stesso ed è infastidito da un allenatore che si permette di dargli qualche indicazione tattica. Lo dimostra la prima apparizione stagionale in maglia United contro il Rayo Vallecano di pochi giorni fa: Ten Hag chiede qualcosa e Ronaldo risponde allargando le braccia e improvvisando smorfie di sdegno degne di un attore hollywoodiano. Si vede che è insofferente e, soprattutto, vuole che si veda. Alla trama ha poi aggiunto un colpo di scena plateale, perfetto per rompere indugi e rapporti: dopo essere stato sostituito all'intervallo, come da accordi visto che non si era presentato nei tempi stabiliti in ritiro, ha abbandonato lo stadio mentre i compagni ancora giocavano. Alcuni giocatori lo avrebbero imitato, a parziale conferma che un leader offre un esempio e, se negativo, questo diventa deleterio e si diffonde come un virus. Non a caso Ten Hag, chiamato a costruire un senso di squadra, ha messo in chiaro le cose: «Non intendo lasciar passare quello che è successo. È inaccettabile»".

 

Il paradosso è che la reazione del mister è esattamente ciò che Ronaldo cercava. Non potendo convincere i dirigenti, legati dall'impossibilità di vendere il cartellino per via dell'inesistenza di una società disposta a pagarlo, Cristiano ha dirottato l'attenzione (e la pressione) su colui che più ci dialoga. L'unico peraltro che, in cuor suo, pensava di poterne fare buon uso. Se l'allenatore arriva all'esasperazione chiederà al club di liberarsi del giocatore, fornendo buone ragioni, e a quel punto chissà, potrebbe aprirsi uno spiraglio ma trovare una società disposta ad accaparrarsi un simile onere è un'impresa per Jorge Mendes.

Fa sorridere che soltanto un anno fa Ronaldo inscenò teatrini simili alla Juventus per andarsene: luglio di rottura, agosto di logoramento e ultimi giorni per farsi cedere. Andò via il 28 agosto dopo aver giocato mezz' ora in campionato: potrebbe accadere la stessa cosa quest' anno, d'altronde la Premier inizia questo fine settimana (United-Brighton). Non era soddisfatto del rendimento della squadra, voleva di più e pensò potesse garantirlo il Manchester, sua vecchia culla. Ma il tempo passa, le squadre cambiano e ora che quest' ultima non gioca la Champions, la storia si ripete: lui pensa di meritarla, senza accorgersi che forse è uno dei motivi per cui non è stata conquistata, e vuole un club che vi partecipa. L'unica nota romantica della vicenda è che la soluzione possibile pare lo Sporting Lisbona, società in cui è nata l'epopea Ronaldo. Per il sentimentale ritorno serve una cinica riduzione dell'ingaggio a cifre "normali", da giocatore qualunque, che a Cristiano suonano come una mancanza di rispetto. Ma un finale di carriera così rancoroso sarebbe molto peggio.

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