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Andrea Agnelli? Vincente come Boniperti, ma su di lui trionfa l'ingratitudine

Luca Beatrice
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Il film sullo scudetto della Sampdoria e la glorificazione periodica del Grande Torino. Il romanzo sulla Lazio di Maestrelli e Chinaglia, i numerosi prodotti sul Napoli di Maradona e persino l'apoteosi del Milan di Arrigo Sacchi, che forse ha cambiato il calcio ma la cui parabola vittoriosa è stata tutto sommato breve. Mentre assistevo alla proiezione de "La bella stagione", diretto da Marco Ponti, ho notato che Gianluca Vialli passa ancora per essere il centravanti della Samp mentre in seguito è stato il capitano della Juventus, l'ultimo ad aver alzato la Coppa dalle grandi orecchie. Gli eventi di cui sopra, resi cinema e letteratura, hanno in comune l'aver interrotto, in tempi diversi, il dominio della Juve nel campionato italiano. Ecco perché noi bianconeri non riusciamo a scrivere l'epopea della squadra e della società, perché saremmo costretti ad aggiornare di continuo il palmarès. D'altra parte se il motto corrisponde a "vincere è l'unica cosa che conta" una ragione ci sarà. Andrea Agnelli ha dunque lasciato la presidenza della Juventus e nonostante le ragioni risultino legate a questioni finanziarie e di bilancio non è un caso che i mugugni nei suoi confronti e della dirigenza si siano alzati dopo il primo anno senza vittorie.
 

 

NUMERI E INVESTIMENTI
Semmai a qualcuno venisse in mente di riflettere su dati oggettivi, egli ha rappresentato uno dei presidenti più vincenti del calcio italiano, avendo inanellato gli stessi traguardi di Giampiero Boniperti ma in un periodo ben più breve, nonostante siano mancati i trofei europei (vecchia storia, la Juve non vince la Champions dal 1996 ma, se è per questo, il City e Psg non ne hanno neppure una). Andrea Agnelli ha infilato 9 scudetti di fila e temo di non vivere abbastanza per assistere a un altro score del genere; ha aperto lo Stadium che nei primi tempi costituiva un valore aggiunto, un terreno quasi imbattibile con il pubblico a pochi metri dai calciatori, freddo nelle ultime stagioni grazie ai "signori" delle curve che non espongono striscioni perché la società non ha voluto accettare i ricatti, costume ben diffuso in altri luoghi. Andrea Agnelli ha aperto al calcio femminile, presentandosi ai nastri di partenza subito vincente; ha investito sulla "cantera" della Next Gen come fanno a Barcellona e Madrid; ha aperto un museo, eretto un quartier generale e modificato il logo, rendendolo prodotto globale tra i più riconoscibili al mondo.

 

 


Nella sua Juve hanno lavorato Antonio Conte e Max Allegri, gli allenatori più vincenti degli anni 2000; hanno giocato, tra i tanti, Andrea Pirlo e Arturo Vidal, Carlitos Tevez, Paulo Dybala e Marione Mandzukic, Cristiano Ronaldo e Dusan Vlahovic. Senza dimenticare i giovani italiani e lo zoccolo duro rappresentato da quei ragazzi disposti a scendere in B e presto ricominciare a vincere, Gigi Buffon il portiere più forte di sempre, Giorgio Chiellini, Claudio Marchisio, Alessandro Del Piero. Eppure tutte queste storie, che potrebbero essere molte di più, non sono bastate a garantire ad Andrea Agnelli e ai suoi un posto definitivo nella storia, perché nella Torino bianconera accade così, non ci sono rendiAndrea Agnelli, che nella lettera di addio ai dipendenti si è firmato semplicemente con il nome, resterà per sempre uno di noi, uno juventino vero, attaccato come non mai a questi colori che porta addosso più di una seconda pelle, ereditati da una famiglia che governa la squadra da un secolo esatto. Il momento è triste ma una cosa è certa, aldilà della scelta "tecnica" che esclude prime donne ed ex campioni: il nuovo presidente si chiama Gianluca Ferrero, cognome piemontesissimo, e l'ad designato Maurizio Scanavino si è laureato al Politecnico di Torino. Dalle nostre parti non tira aria di Cina, America né Paesi Arabi, sarà sempre e comunque una Juventus sabauda e prima o poi tornerà a vincere. Il resto, sono solo incidenti di percorso o intervalli della storia.
 

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