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Gigi Buffon, "quando si è accorto che era finita": il retroscena sul ritiro

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Leonardo Iannacci
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Mi ritorna in mente, Gianluigi Buffon da Carrara, mentre vola, para, ride, gioisce. A 45 anni si è persone realizzate se, con leggerezza, si dice addio a una vita bella, a tratti tumultuosa, cavalcata sempre in prima linea, e si svolta senza ansie. Ieri SuperGigi ha fatto capire quello che tutti sapevano da tempo: il suo contratto con il Parma sarebbe scaduto tra un anno ma il grande numero uno del calcio italiano- sì, diciamolo, più di Zoff per l’interpretazione moderna del ruolo- ha detto stop. Nei prossimi giorni Buffon tratterà la risoluzione del contratto con la squadra ducale per accettare l’offerta che la Federcalcio gli ha fatto: quella di diventare il successore di Gianluca Vialli, e prima ancora di Gigi Riva, nel ruolo di team manager della nazionale.

Uno come lui non poteva oggettivamente finire tra le dune arabiche a parare tiri di calciatori prezzolati che hanno accettato di perdere la faccia pur di guadagnare cifre assurde. Non poteva davvero. Così il campionissimo di Berlino 2006 ha accettato di chiudere una porta sul passato e di aprire un portone sul futuro che è ancora un enigma per l’uomo che ha scritto pagine indelebili in una carriera leggendaria. A Gigi, che non ha mai avuto paura di nulla sin da quando non aveva ancora 18 anni allorché debuttò in serie A contro il Milan e poi, in nazionale su un campo innevato di Mosca (29 ottobre 1997, a 19 anni), il futuro non deve spaventare.

 

RECORD INEGUAGLIATO
Non sarà facile per lui svegliarsi la mattina e non sentire più l’odore dell’erba. Ma questa è la vita e il portiere che ha vinto un mondiale con l’Italia il 9 luglio di 17 anni fa, dieci scudetti con la Juventus (record ineguagliato), sei coppe Italia, sette Supercoppe italiane, una Coppa Uefa, una Ligue 1 e una Supercoppa di Francia con il Psg, si è accorto di avere esaurito la batteria. Non ha pensato all’ennesima ricarica, meglio dire addio al pallone, alle sfide che ne hanno disegnato un’esistenza magnifica, ricca di trionfi e di amicizie. Di Gigi citiamo un cruccio e una medaglia speciale: non ha mai vinto il Pallone d’Oro (assurdo) eppure vanta il record di presenze in nazionale: 176. Nessuno è stato tenace in azzurro come SuperGigi, la cui madre era Maria Stella Masocco, campionessa di getto del peso, e lo zio Dante un bravo cestista di serie A.

 

Incidenti e malintesi sciocchi hanno accompagnato Gigi all’inizio della carriera, quando giocò una partita con il numero 88, considerato un simbolo neonazista oppure quando indossò una divisa con la scritta “boia chi molla”. Ragazzate. Di Gigi giusto ricordare i gesti inimitabili, la paratona sul colpo di testa di Zidane nella finale mondiale di Berlino 2006, il senso della posizione, le doti atletiche e i sorrisi che distribuiva a tutti, compagni di squadra e avversari. Lo incontrammo una prima volta a Bologna in un ristorante, lui 18enne ospite di Pagliuca e Peruzzi. Pensammo: in questo tavolo ci sono due grandi portieri azzurri, senza immaginare che il più giovane dei tre sarebbe diventato il vero fuoriclasse. Parlava sempre, sotto il ciuffo ribelle, e narrava del suo mito, il numero uno del Camerun 1982, Thomas N’Kono. A tal punto che Gigi ha chiamato uno dei suoi figli proprio con il nome Thomas. Arrivederci, numero 1.

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