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Spalletti gode, "quello che Mancini non faceva più": come ha ribaltato l'Italia

Claudio Savelli
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Luciano Spalletti ha una mente libera da preconcetti o pregiudizi. Esclude l’esistenza di giocatori migliori in assoluto, contrariamente a quanto facevano alcuni suoi predecessori. L’Italia non ha fuoriclasse, lo ripetiamo sempre, eppure c’era chi riteneva intoccabile qualche calciatore e lo schierava anche se era impresentabile. Con Spalletti non accadrà mai. Gioca chi sta meglio, chi è felice di farlo, chi è utile alla causa.

Nessuno è sicuro del posto ma tutti possono ambire ad esso. Abbiamo un ct che crea la miglior squadra di volta in volta, che si comporta da selezionatore vecchio stampo. Ma abbiamo anche un allenatore che prende questa squadra nei dieci giorni in cui ce l’ha a Coverciano e la allena, sta in campo con lei, la trasforma in un club. La libertà intellettuale permette a Spalletti di convocare due 34enni come Bonaventura e Darmian (li compie a dicembre) semplicemente perché sono fondamentali nei loro club e si dimostrano integri, anzi addirittura più in forma rispetto a quando ne avevano trenta. Se ne frega se questi erano esclusi dal giro e non li chiama per fare da comparse, da presunti santoni dello spogliatoio utili fuori dal campo ma non in campo: li prende e li mette dentro, senza farsi troppe storie.

 

Da questi calciatori raccoglie due reti fondamentali per il suo cammino. Offre una possibilità a persone per bene e che meritano di non essere esclusi a priori e in cambio ricava qualcosa di importante. C’è una forte componente umana in questi gol, una fondamentale vicinanza emotiva tra l’allenatore e i giocatori che Spalletti ha ricostruito in pochissimo tempo. Anche da Jorginho, riconvocato per via di grandi prestazioni con l’Arsenal e non per un’esigenza nel ruolo che è nata dopo, il ct riceve una grande prestazione. Il rigore è una forzatura che avrebbe potuto prevenire, non è obbligatorio tirarli, ma concedere ad un giocatore la possibilità di redimersi fa parte della sensibilità di Spalletti.

 

Se il regista reagisce al suo personale incubo è anche per l’attenzione del ct ai tempi e ai modi del suo reintegro. Spalletti non ha la sua formazione ideale, o meglio, ce l’ha ma sa che in questo momento non sarebbe la migliore. È flessibile e lucido. L’ultimo Mancini non era né l’una né l’altra cosa. Convocava i suoi a prescindere dalle condizioni fisiche e psicologiche e alternava gli altri senza mai renderli protagonisti. Ora la Nazionale non è solo aperta a tutti, ma è sempre diversa, pur mantenendo un fondo comune nel modulo e nei principi di gioco. Questa è la gestione moderna di una squadra, sia essa un club o una selezione. Questa è la gestione di un allenatore contemporaneo come Spalletti. Resta un grande lavoro da fare sull’atteggiamento del secondo tempo dopo il 3-0: sufficiente, altezzoso e proiettato all’Ucraina con troppo anticipo. Due i lati positivi del pessimo finale di gara: una Nazionale che andava facilmente in ansia ora è così da tranquilla da addormentarsi e sa reagire al momento di terrore che lei stessa si è creata. Passi avanti. Manca un punto per farne altri con più serenità. 


 

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