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Simone Inzaghi, retroscena: Inter, le nuove gerarchie in spogliatoio

Claudio Savelli
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Nel calcio si dice che non serve essere amici per vincere. Basta essere buoni compagni di squadra. L’Inter sta cercando di dimostrare il contrario. Thuram che sgambetta Pavard è un’allegra bravata che, oltre a testare il ginocchio del difensore, testimonia il clima di amicizia all’interno dello spogliatoio nerazzurro. Si dirà: certo, questi due si conoscevano già, sono compagni di Nazionale, normale siano così coesi. Ma poi vedi Calhanoglu, un turco, e Arnautovic, un austriaco, che mai hanno giocato insieme prima e che si chiamano “fratello” l’un con l’altro, e allora pensi che la nazionalità non c’entra. In questa Inter sono tutti amici.

Marotta ha spiegato più volte che l’appeal del club è tornato ai suoi massimi e che molti giocatori cercano l’Inter, ancor prima che il contrario. Ausilio ha aggiunto che Inzaghi ha creato un ambiente felice in cui «si sta bene», cosa che attrae i calciatori, se è vero che tra loro parlano. Scontato? Beh, no, considerando che lo stesso direttore sportivo nel 2017, poco dopo l’ingresso di Suning in società, dichiarava quanto segue: «Ad Appiano si allenano tutti bene ma manca il senso di solidarietà. Non c’è un vero gruppo per questioni di età, personalità e valori umani. Ci sono tanti gruppetti e tanta gente che pensa a se stessa». Cercare online per credere.

 

 

 

Erano i famosi tempi delle fazioni, dei clan. Spariti. Se Ausilio era sincero, trasparente e chiaro allora, lo è pure adesso. Quindi davvero l’Inter è diversa. Davvero è nato qualcosa di speciale. L’avrà forse portato Thuram, questo clima di felicità e sorrisi? Ci fosse stato Lukaku, Marcus avrebbe avuto di sicuro meno spazio per giocare, ma anche per esprimere la propria travolgente personalità. Può essere che Thuram sia l’amalgama della nuova Inter, ma è indubbio anche che ogni nuovo giocatore va accolto in una certa maniera per permettergli di essere se stesso. E la metà della rosa che è rimasta dall’anno scorso in questo senso è stata perfetta: ha capito la rivoluzione effettuata dalla dirigenza e aperto le porte dello spogliatoio ai rinforzi.

 

 

 

Dimarco, sui social, riposta la foto dell’esultanza in cui Thuram si è inserito e scrive «Non ne posso più di te», ridendo. Ogni volta che pubblica qualcosa Mkhitaryan, arriva un tripudio di commenti da Barella, Bastoni e compagnia: lo chiamano lo zio Michele. A conferma che i più esperti della rosa non sono dei dinosauri inavvicinabili, dei leader intoccabili, ma dei compagni a cui piace, per così dire, sentirsi giovani. I nerazzurri vanno d’accordo perché l’ambiente è sano. E lo è perché sono state chiarite le gerarchie e sono state ridistribuite le responsabilità. Vedi Frattesi che viene rassicurato da Inzaghi dopo il mancato impiego contro l’Udinese e che risponde sorridendo.

 

 

 

Domani, nella sfida decisiva per il primo posto nel girone di Champions contro la Real Sociedad, sarà consapevole di dover sostituire un compagno (Barella o Mkhitaryan) che a sua volta non merita di stare in panchina. Delle nuove responsabilità, Lautaro ne è ovviamente il simbolo. Non è che è diventato capitano, è che lo fa. Sia in campo sia fuori. All’85’ della sfida all’Udinese, subito dopo aver segnato il 4-0, rincorreva gli avversari nella sua metà campo. Tre degli ultimi sette gol dei nerazzurri in campionato sono nati da un suo recupero palla. Non sono i 28 timbri nell’anno solare (come Milito nel 2012 e Vieri nel 2001: venti giorni per superarli) a fare la differenza, ma è tutto il resto. Con la firma sul rinnovo fino al 2028 che arriverà entro la Befana, Lautaro, che ora ha 26 anni, potrà arrivare a dieci stagioni in nerazzurro. L’Inter si sta costruendo in casa il nuovo Zanetti: argentino, arrivato giovanissimo, diventato nerazzurro, milanese d’adozione e capitano. Il valore di un giocatore così, che si comporta così, è inestimabile. Un po’ come l’amicizia. 

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