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Decreto crescita? Ecco perché è giusto toglierlo

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Tommaso Lorenzini
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Cosa c’è stato di sbagliato nell’abolizione delle agevolazioni fiscali per l’acquisto di calciatori stranieri? La tempistica. Cambiare regole a partita in corso non è mai digeribile. I malumori creati dalla scelta del governo di togliere il decreto crescita senza concedere almeno una proroga di qualche mese sono comprensibili: quanti avevano pianificato mosse o strategie di mercato a breve-medio termine si sono ritrovati col cerino in mano. Eppure bollare il provvedimento come populista perché a volerlo con forza è stata, fra gli altri, la Lega di Salvini, è un paravento di comodo altrettanto demagogico.

La Lega calcio si straccia le vesti perché «la mancata proroga produrrà minore competitività, riduzione dei ricavi, minori risorse da destinare ai vivai, minore indotto e minor gettito per l’erario». La Lega calcio ci spieghi però perché i nostri giovani sono “invisibili”. Il sito kickest.it ha raccolto le presenze da titolare dei nati dopo l’1 gennaio 2004 nei 5 massimi campionati europei dopo 16 giornate. Questa la situazione (tra parentesi il numero di calciatori impiegati): Francia 151 (29); Spagna 73 (11); Inghilterra 96 (14); Germania 34 (8); Italia 26 (8). Quindi: il decreto crescita c’era (dal 2020), l’attenzione ai vivai no... Perché? Lo sport globale di alto livello attraversa trasformazioni sostanziali per rinnovarsi e sopravvivere (pensate all’allargamento di F1 e MotoGp, al football americano e alla Nba che vengono a giocare in Europa), l’atteggiamento del nostro pallone vorrebbe l’opposto: il mantenimento dello status quo attaccandosi alla mammella dello Stato. Nel post pandemia, il presidente federale Gravina più volte ha chiesto aiuto all’Erario sostenendo che «il calcio può trascinare la ripresa», ma la sensazione è che sia il calcio a farsi trascinare dagli aiuti. Il gettito di 1,2 miliardi annui al Fisco non può bastare per ritenere il comparto pallonaro privilegiato rispetto a un altro. Mancano i soldi? Si accendano le idee.

 

Del resto, quando c’è da elogiare i dirigenti che costruiscono squadre vincenti grazie ai parametro zero, sono tutti a batter loro le mani. Ora trovino soluzioni di sistema, non solo per la loro parrocchia. È il momento di ripensare e rilanciare il calcio italiano. Non arriveranno più stranieri a basso costo (e molti a bassa resa)? Meglio, sarà un modo per dar spazio ai nostri italiani e dare alternative ai ct di turno. O avete già scordato la penuria di attaccanti in Nazionale? O che l’U21 non vince nulla dal 2004? Siamo sempre a elogiare le accademie giovanili tedesche che hanno dato lustro alla Germania, o le cantere dei club spagnoli che valgono 2,5 miliardi e sfornano fenomeni, ma invece di replicare con la stessa moneta, il calcio italiano va a batter cassa da Pantalone. Più che un decreto crescita, serve una rivoluzione. 

 

 

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