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Serie A, che pena la corsa-Champions: quote in picchiata, ombre nere sul calcio italiano

Claudio Savelli
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La quota Champions non è mai stata così bassa. Ora è di 65 punti per la quarta in classifica, un bottino che in altri tempi sarebbe valso al massimo l’Europa League. Più che una corsa, è una camminata lenta. Non vincono mai tutte insieme, quasi sempre ne vince solo una, due al massimo. In questo caso, in attesa della Roma, è l’Atalanta a ottenere i tre punti. Vanno così piano che bastano un paio di successi per ritrovarsi alla guida dell’affollato vagone di pretendenti che non meritano di essere tali. Mediocrità e pigrizia. È la Dea a fissare la quota in questo momento: 36 punti in 21 gare sono 1,7 punti in media, 65 in proiezione sull’intero campionato. Bisogna tornare alla stagione 2011/12 per trovare di peggio: Udinese con 64 punti, quando le qualificate alla grande Europa erano soltanto tre.

Dal 2017/18, annata in cui sono tornati a essere quattro i pass per la Champions, le quote sono state di 72, 69, 78, 78, 70 e 70. Mai sotto i 69 punti. Il Torino è a cinque punti dalla zona Champions, cinque, pur essendo decimo in classifica. Vuol dire che metà campionato è ancora coinvolto nella passeggiata che conduce alle posizioni di lusso. È un bene per lo spettacolo, dicono alcuni. Ma che spettacolo è? Al ribasso. Una lotta povera dove nessuno è in grado di puntare all’eccellenza. Infatti il livello dei “big match” di serie A quest’anno è davvero infimo, ad eccezione di qualche assolo nerazzurro. Per fortuna il Bologna si è inserito ai piani alti e ha dato luce ad una corsa altrimenti soporifera. Si prenda Lazio-Napoli, sfida tra due squadre che in teoria hanno giocatori scelti per predicare bel calcio e in pratica non giocano. I cosiddetti xG di questa partita, i gol attesi secondo la quantità e la posizione dei tiri, sono poco più di mezzo in totale: 0,41 per la Lazio, 0,17 per il Napoli.

 

 


Nessuna delle due si è avvicinata ad una segnatura con un’azione corale, quella a cui in teoria è votata la formazione di Sarri e quella ereditata da Spalletti. L’unico sussulto è stato la rovesciata di Castellanos, una prodezza dal nulla, da calcetto del giovedì, per una rete poi annullata per fuorigioco. Non è stato uno di quegli zero-a-zero perfetti figli di due forze che si scontrano e si annullano: non si è scontrato nulla, non ci sono state forze in campo ma una crescente rinuncia al tentativo di vincere la partita per paura di perderla. Intanto l’Inter sopravvive all’assenza di Calhanoglu e Barella partendo da un assunto strategico di Inzaghi: visto che mancano i palleggiatori, non palleggiamo. La ritrovata capolista è più verticale e meno avvolgente del solito, ha meno controllo del pallone e quindi dei ritmi della partita, infatti concede qualcosa di troppo alla Fiorentina, anche perché Nzola mette in difficoltà il peggior De Vrij della stagione. Considerando l’avversario, le assenze, il rigore parato da Sommer e il momento - dopo le fatiche di Supercoppa e la frenata della Juventus e prima dello scontro diretto -, il successo dei nerazzurri a Firenze è il più importante della stagione. Finora. 

 

 

 

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