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Simone Inzaghi? Un fuoriclasse: ecco come si vince la seconda stella

Claudio Savelli
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Dicono che le grandi squadre non hanno bisogno di un allenatore. Si allenano da sole. Serve solo uno che decide la formazione, che tanto poi ci pensano i campioni in campo. Non è il caso di cambiare prospettiva? Non è il caso di guardare l’Inter? La capolista che sta riscrivendo i record della sua ultracentenaria storia (57 punti come nel 2006/07 ma segnando 4 gol in più e subendone ben 10 in meno) è una grande squadra perché è meravigliosamente allenata da Simone Inzaghi. Non è Inzaghi che sta diventando un super allenatore perché allena una grande squadra. Sia messo agli atti. Ecco le prove. Inzaghi sembrava quel tipo di mister da zero-a-zero ai microfoni. Piatto, banale, etereo. Il contrario di ciò a cui erano abituati i tifosi nerazzurri. È diventato un vincente, anche lì. Il modo in cui parla, sempre rispettoso, calmo e gentile, rappresenta al meglio ciò che l’Inter è sempre stata e vuole essere.

PERFETTO PORTAVOCE
Di fatto Inzaghi è il perfetto portavoce dei valori del club e non deve nemmeno sforzarsi, visto li ha dentro, ereditati dalla sua famiglia. Anche quando non dice niente, Inzaghi dice tutto. Come non cadere nelle provocazioni di Allegri prima dello scontro diretto con la Juventus: senza quell’energia risparmiata, non sarebbe arrivata la vittoria. C’è un aspetto in cui l’Inter è una squadra poco adatta al calcio di oggi: ha pochi dribblomani e solisti di livello. Non ha quindi possibilità di creare superiorità numerica attraverso le individualità. È un grandissimo limite ma Inzaghi lo ha trasformato in un pregio. Avendo una formazione obbligata al fraseggio e alle rotazioni, ha allenato quelle fino a raggiungere la perfezione. Ha così evoluto qualche concetto di calcio di posizione del decennio scorso, iscrivendosi alla cerchia ristretta degli allenatori che portano innovazioni nel gioco. Sì perché l’Inter, ricordiamolo, si schiera con un 3-5-2. Proprio lui, il modulo dai più indicato come retrogrado, antico, difensivista è ora un modello da studiare anche e soprattutto per la fase offensiva. Mai una volta che Inzaghi abbia criticato le scelte della dirigenza o le imposizioni della proprietà. Ma se in principio ha “solo” accettato le condizioni del progetto, via via che il tempo passava se ne è innamorato e le ha sposate. L’Inzaghi attuale avrebbe l’autorità e il credito necessari per imporre qualche decisione, invece resta nella penombra. È al tempo stesso la punta e un ingranaggio del tutto. Apparecchia la scena ma si mette dietro le quinte non appena finisce lo spettacolo. L’equilibrio professionale e umano di Inzaghi è sia nei confronti della dirigenza sia della squadra, dove sa essere allenatore ma anche fratello maggiore o uno zio giovane dei giocatori, senza mai esagerare né da un lato né dall’altro.

 


Chi è cresciuto molto con questa gestione tecnica è Calhanoglu. In questo momento il turco è uno dei due-tre migliori mediani al mondo. Poco più di un anno fa nemmeno si pensava potesse fare questo ruolo. A vederlo lì è stato Inzaghi, ben prima di Calhanoglu stesso: 4 ottobre 2022, manca Brozovic e c’è Mkhitaryan come mezzala. Poi c’è la velocità con cui il turco è migliorato nel ruolo che è simile a quella di altri calciatori passati tra le mani del Demone Simone.

TUTTOCAMPISTA
Non un caso, quindi, ma un metodo. Certo, con Calhanoglu si sta andando oltre, si sta addirittura riscrivendo il nome del ruolo: centromediano tuttocampista. Ma non è l’unica diavoleria di Inzaghi: Mkhitaryan rilanciato prima che chiunque altro si accorgesse del suo effettivo valore, Acerbi rivalutato come centrale di marcatura, Dimarco consacrato come quinto. Inoltre l’evoluzione di Lautaro come leader tecnico ed emotivo è di certo merito del giocatore, ma le cose belle si fanno in due. Inzaghi ha visto prima di tutti che l’argentino sarebbe potuto diventare il capitano che è oggi. Da cosa si capisce? Facile, basta ricordare i rimproveri di Conte che, pur ritenendolo un futuro campione, non ne intravedeva del tutto la potenziale leadership. Inzaghi, invece, lo ha educato alle responsabilità. Nel primo anno lo sostituiva spesso, nel secondo mai: bastone e carota, ma sempre all’interno di confini controllati. L’educazione inzaghiana ha anche creato un gruppo in cui tutti i nuovi arrivati si trovano immediatamente bene. È cambiata mezza rosa, anche solo per probabilità era facile averne uno insoddisfatto o isolato. Invece, zero. L’Inter è una grande squadra perché Inzaghi è diventato un grande allenatore. Non il contrario.

 

 

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