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Cesare Prandelli a tutto campo: "Non torno in panchina. Zirkzee il futuro"

Leonardo Iannacci
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Un signore nella vita può esserlo anche nel calcio, acquario nel quale notoriamente nuotano parecchi squali. Cesare Prandelli lo è sempre stato un galantuomo e la stima che il suo vecchio mondo pur non facendone più parte continua a riservargli, è una medaglia che questa brava persona si è pienamente meritato. Siamo andati sulle sue tracce e lo abbiamo scovato in Toscana, per chiedergli se il calcio è ormai marginale nelle sue giornate.

Prandelli, ma dove è finito?
«Mi divido fra la mia casa qui in Toscana e Orzinuovi dove ho ancora mamma. Spesso vado poi a trovare mio figlio Niccolò a Bologna, lavora nello staff tecnico di Motta. Non mi faccio mancare nulla e sto bene così».

 

 

 

E sua figlia Carolina?
«Era a Mogadiscio, ora si trova a Nairobi. Lavora per l’Onu ma tra poco partorirà e, finalmente, farà ritorno in Italia».

Segue ancora il calcio?
«La passione è rimasta sempre insieme alla curiosità di studiare cosa offre di nuovo lo sport che ha fatto parte della mia vita».

Alla fine delle partite, come ci rimane?
«Bene, non faccio mai un processo a quello di negativo che ruota attorno al calcio: arbitri, polemiche, scandali... Al fischio d’inizio torno bambino e penso soltanto alle giocate, a quello che accade nel rettangolo di gioco».

E da cosa viene colpito?
«Diciamo che non ci sono state negli ultimi anni radicali rivoluzioni tecnico-tattiche come quelle dell’Ajax di Cruijff o del Milan di Sacchi. Oggi si sono alzati in modo esponenziale l’aspetto tecnico e la valenza tattica, soprattutto si è esasperato il possesso palla. Vedo grandi centrocampista in giro ma...».

Ma...?
«Il gioco è mutato e a rimetterci sono stati gli attaccanti ai quali viene chiesto soprattutto un gioco di sponda e poco di profondità verso la porta. E poi sono scomparsi i trequartisti, i numeri 10, quelli pieni di talento».

Persino Guardiola ha cambiato il modo di giocare con il City, vero?
«Esatto. Verticalizza sempre, anche perché là davanti ha un gigante norvegese da 25-30 gol a stagione che sarebbe un delitto utilizzarlo come sponda».

La nazionale di Spalletti ha abbondanza di centrocampisti ma poche punte...
«È questo il punto. Lei pensi che Immobile l’ho fatto esordire io in azzurro, quindi ne è passato del tempo. Tutto nasce dai settori giovanili, lì dovremmo insegnare ai ragazzini come migliorare per diventare centravanti con il fiuto del gol. Lo sponda-appoggio per imbucare gli incursori in area fa perdere il senso della rete».

I numeri 10 latitano: perché?
«Perché non dribbla più nessuno, giocatori che saltano l’uomo si contano sulle dita di una mano».

L’uomo-sorpresa del campionato?
«Zirkzee. Un centrattacco che non è solo un centrattacco. Thiago Motta, giocatore intelligente della mia nazionale, lo ha capito e gli fa fare tutto».

 

 

 

L’Inter ha già vinto lo scudetto?
«È una squadra veramente forte, è cresciuto molto Simone Inzaghi nel proporre un gioco straordinario: i suoi verticalizzano, palleggiano, difendono bene. Calhanoglu parte dal basso, costruisce ma arriva anche in area».

La Juventus ha ancora qualche speranza?
«Allegri sta facendo fare un percorso importante ai suoi, non dimentichiamo che ha la squadra più giovane. Starà attaccata all’Inter sino alla fine».

Domenica c’è Roma-Inter: il suo vecchio pupillo De Rossi può fare l’impresa?
«Sarà un scontro molto interessante e sono curioso di capire come Daniele affronterà l’Inter: gli darà campo o l’aggredirà? Lui era un allenatore già in campo, solido e geometrico. Per me farà attaccare i suoi».

E siamo arrivati alla domanda delle 100 pistola: nel 2021 lei ha staccato del tutto con il calcio. Perché?
«Dopo una partita della mia Fiorentina contro il Milan, ho avvertito disagio, un senso di vuoto. Era anche il periodo del Covid. In quei giorni era cresciuta un’ombra dentro di me e dissi addio alla panchina. Per sempre».

Totti è stato il giocatore più forte che ha allenato?
«Si, era impressionante. Aveva una straordinaria capacità realizzativa ma anche visione periferica da fuoriclasse. Vedeva in campo situazioni con secondi di anticipo».

E Platini quello più forte con cui ha giocato?
«Esattamente. Oggifuoriclasse simili li ingabbiano in sistemi tropo rigidi».

Due flash di Prandelli ct: l’argento agli Europei 2012 eil flop ai Mondiali 2016?
«Nel 2012 avevo un gruppo incredibile e, a livello tattico, proponemmo anche cose innovative. Ai mondiali brasiliani, invece, sbagliammo la partita con il Costarica che ci costò l’eliminazione».

Balotelli: un rimpianto o un enorme delusione?
«Mario è una brava persona, ritenuto troppo personaggio per i suoi 20 anni. Peccato, ho ancora molto affetto per lui».

Senta, ma la nostalgia canaglia per la panchina non la viene mai?
«No. Semmai provo il desiderio di dare una mano a un collega, magari un bravo giovane al quale fornire qualche consiglio. Il calcio lo amo».

 

 

 

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