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Pioli e Allegri, parabole opposte tra campo e parole

Claudio Savelli
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Sopra la panca Stefano Pioli, sotto la panca Max Allegri. Che strano il destino incrociato di questi due allenatori: non più di un mese fa era opposto. Il rossonero sembrava già esonerato e il bianconero già "rinnovato". Ora si parla di permanenza di Pioli, magari con tanto di rinnovo del contratto per evitare di iniziare la prossima annata in scadenza, mentre di Allegri si comincia a sussurrare un benservito prima della fine dell’accordo in essere. Cosa è cambiato? Pioli ha fatto l’allenatore quando Allegri ha smesso di farlo. Per allenatore si intende l’uomo che si concentra sulla squadra e trova soluzioni “di campo”, mettendo in secondo piano tutto il resto. Quando Pioli è tornato al suo amato 4-2-3-1 tutto strappi e folate offensive, ha ritrovato sia se stesso sia la fiducia del gruppo. Quando Allegri si è rimesso a fare lo showman, tirando frecciate all’Inter ai microfoni e dimenticandosi di evolvere una squadra che in questi mesi ha finalmente gettato buone basi, ha perso la bussola.

Nel calcio di oggi contano le proposte e le idee di gioco più di tutto il resto. La polemica del mister (vedi anche Mourinho) annoia i calciatori, li allontana, li fa sentire poco importanti e in un posto in cui non possono evolvere come professionisti. Per questo viene apprezzata una risposta alle difficoltà come quella che ha avuto Pioli: modifico la squadra, non il mio modo di fare. Nel suo caso, ammettendo un errore. Pioli aveva infatti programmato un Milan “più di possesso” schierato con un 4-3-3 classico: basta andare a rivedersi le dichiarazioni di inizio stagione per averne prova. Nell’ultimo mese ha rinunciato a quella idea e, di fatto, ha così suggerito che la colpa del rendimento altalenante non era dei calciatori ma sua. Risultato? Fiducia ritrovata, giocatori di nuovo felici e risultati che arrivano (7 vittorie e 2 pareggi nelle ultime 9 di campionato e 3-0 al Rennes nell’andata dei playoff di Europa League).

 

 

 

La risposta di Allegri alle recenti difficoltà è invece da valutare. Dopo il punticino nelle ultime tre gare con Empoli, Inter e Udinese, Max ha sottolineato con ancor più forza di prima che il vero obiettivo della Juventus non era lo scudetto ma un posto in Champions. Alla vigilia della delicata sfida in casa del Verona (oggi alle 18, diretta Dazn), di nuovo: «Dobbiamo qualificarci, poi vedremo in estate che rosa costruire». A questo aggiunge orpelli polemici che nella prima metà di stagione aveva cancellato dal suo taccuino: «Quest’anno non la giochiamo per altre problematiche...» e «la Juventus non è mai stata fuori dalla Champions mentre altre squadre non hanno partecipato anche per 6-7 anni...», in riferimento di nuovo all’Inter. Non ce n’è bisogno, soprattutto se ti chiami fuori dall’inseguimento ai nerazzurri in chiave scudetto. Allegri dice una cosa e il suo opposto nel giro di pochi minuti e, quando si parla di campo, di evoluzione tattica della squadra in un possibile 3-4-3 in cui possono convivere Yildiz e Chiesa, taglia corto, come se non fosse un argomento di suo interesse: «Non cambio modulo per tre partite storte». Contento lui... contenti tutti?

 

 

 

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