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Formula 1, il gioiello "Drive to Survive" unisce puristi e "nuove leve"

Andrea Tempestini
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Drive to survive, a spanne, è il più solido degli anelli di congiunzione tra puristi della Formula 1 e “nuove leve”. Una serie tv dedicata al circus. Ieri su Netflix è uscita la sesta stagione ed è spettacolare, come le precedenti. Piace a tutti: alle “nuove leve”, appunto, e a quelli che storcono il naso dal lontano 2016, quando la F1 finì in mano agli yankee di Liberty Media, il colosso che l’ha stravolta. Su questo ci torneremo.

La magia di Drive to survive sta nell’aver umanizzato i piloti: le telecamere ti portano nelle loro vite, catturano dialoghi che fino a 8 anni fa erano irraggiungibili, si insinuano nei box e nelle loro case, nel loro quotidiano. E ancora hanno reso “fruibili” i team-principal, i boss delle scuderie, i quali prima di DTS (salvo eccezioni come i ferraristi, Flavio Briatore o in tempi recenti Toto Wolff) erano figure immaginifiche.

Poi, certo, nella serie c’è anche - e forse soprattutto - la gara: montaggio e immagini superlative. La differenza però la fa il suono, la prevalenza del basso, prese e sfumature audio che ipnotizzano e massaggiano in modo brusco e libidinoso stomaco e cavità auricolari. Già, gli americani queste cose le sanno fare bene.

 

PERCHÉ GUARDARLA
DTS è un manifesto della nuova F1 perché indugia su personaggi periferici per renderli non solo famosi, ma iconici. Un esempio su tutti è Günther Steiner, ex boss della Haas, un satellite nel circus assurto stagione dopo stagione a centro gravitazionale, ovvio solo da un punto di vista mediatico. Quest’anno il menù non cambia. La prima puntata è tutta su Lawrence Stroll, il magnate che tenta disperatamente di trasformare l’Aston Martin in un team da titolo (pur affidando in pianta stabile una macchina al figlio Lance, una sorta di kamikaze).

Poi Nyck de Vries, stellina olandese bruciata a tempo record: scaricato dall’Alpha Tauri dopo dieci gare, è tornato a studiare ad Harvard. Una puntata sulla sfida al ribasso tra Haas e Williams, impegnate a schivare l’ultimo posto in classifica, quindi gli scazzi tra Gasly ed Ocon, e ancora una puntata sull’Alpine, team francese abbonato ai flop. Tra un episodio sul ritorno di Daniel Ricciardo e uno dedicato ai tormenti di Lewis Hamilton, anche due marchiati Ferrari: quello sul weekend della gara a Monza e l’ultima puntata, il duello tra Mercedes e le rosse - vinto dai primi- per il secondo posto tra i costruttori.

Guardate DTS, perché ne vale la pena. E una conferma arriva da come la serie abbia rilanciato a livello globale uno sport il cui eterno fascino pareva compromesso dallo stigma della noia. Qualche cifra: lo share globale delle gare nel 2017, primo anno dell’era Liberty Media, è cresciuto del 6,2% rispetto al 2016. Poi incrementi anno su anno del 10%, del 9% e del 13% nel 2021. Nell’ultimo biennio due battute d’arresto (il dominio di Max Verstappen non aiuta). Ma la crescita del mercato e del brand è stata esponenziale. Medesimo trend sui social, dove interazioni e menzioni negli anni sono lievitate a dismisura (anche in questo caso, battuta d’arresto e passi indietro con la tirannia dell’olandese). 

 

Il punto è che se il trend ora è negativo, gli americani ci metteranno mano. Ed è qui che i puristi storcono il naso: Liberty Media mischia le carte, stravolge un sistema consolidato, ne cancella rituali e consuetudini. Si pensi alla Sprint Race, la gara sui 100 km del sabato, e alla Sprint Shootout, mini-qualifica per mini-gara. E si pensi soprattutto al 12 dicembre 2021, sorta di Armageddon per il circus: un’interpretazione (molto) disinvolta del regolamento all’ultima gara, la resa dei conti tra Hamilton e Verstappen, il secondo che vince all’ultimo giro grazie allo strano assist dei commissari di gara. Nessun dolo intenzionale, tutto nel nome dello spettacolo. E lo spettacolo c’è stato, giustizia sportiva probabilmente no. 

Lo ammetto, io sono un purista, uno che si è guardato ogni gara anche nella raccapricciante stagione del titolo di Jenson Button sulla Brawn, la più brutta dell’era moderna. Però se nel 2009 la F1 ormai la seguiva solo il circoletto dei puristi e oggi è tornata ad essere un fenomeno non solo sportivo, ma di costume, alzo le mani. Anche perché continuo a guardarla, pur continuando a storcere il naso. Ma su Drive to survive non ho niente da eccepire.

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