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Milan, Pioli sotto accusa: tutti i peccati del tecnico rossonero

Claudio Savelli
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L’unico lato positivo per il Milan è che potrà rimontare la Roma giovedì prossimo grazie alla stessa caratteristica per cui ha perso il primo round: l’arroganza. Perché per il resto, questa ha portato più cose cattive che buone in stagione, in relazione alle possibilità della squadra che di certo sono superiori a un secondo posto a distanza siderale dall’Inter, ad un’uscita precoce in Coppa Italia e in Champions League e a un eventuale quarto di finale di Europa League. I passaggi a vuoto del Milan sono identici l’uno con l’altro, hanno le stesse cause, le stesse dinamiche, gli stessi sviluppi, eppure Pioli non fa nulla per evitarli. Come se la squadra potesse sempre cavarsela da sola, senza bisogno di accorgimenti. È una supervalutazione, una mancanza di umiltà e accettazione delle avversità: arroganza (sportiva, s’intende), appunto. Questi tonfi avvengono per lo più negli scontri diretti, nelle sfide con squadre di spessore, segnale per cui la qualità nella rosa c’è ma, come tutte, ha un limite oltre al quale dovrebbe portarla l’allenatore con il lavoro quotidiano e piani gara ad hoc per queste grandi partite.

SENZA PIANO GARA
Ecco, con la Roma l’impressione è stata che il Milan non avesse un piano gara dedicato. Che giocasse come al solito, come sempre, con il copione tradizionale che il Milan conosce a memoria, sì, ma anche tutti gli altri. A De Rossi e al suo staff sarà bastato studiare i rossoneri nelle partite in cui hanno perso per capire cosa fare, ovvero: 1) popolare il lato destro del campo che corrisponde alla catena sinistra del Milan composta da Theo e Leao, 2) liberare quanti più uomini possibili tra le linee sulla trequarti, o anche uno, Dybala, come nel caso della Roma, 3) spingere un attaccante in profondità in modo che la difesa rossonera sia costretta a correre indietro. Così il Milan non ha più fonte di gioco (1), corre a vuoto (2), si allunga e lascia semivuoto il centrocampo (3).

 

 

Per fare tutto questo, a De Rossi è bastato spostare El Shaarawy di fascia, da sinistra a destra, per coprire il lato forte dei rossoneri, orientarne l’uscita a destra ed escludere dalla gara tutti i giocatori in grado di fare giocate decisive dalle quali il Milan dipende troppo. Una mossa per ottenere tre benefici decisivi nello 0-1 finale: onestamente troppo facile. Il Milan è una squadra ormai decodificata per la quale sono già stati trovati antidoti, ma Pioli non vuole modificare mai nulla. In più, se viene incartato sul piano gara, Pioli non riesce mai a correggere in corsa. All’intervallo con la Roma non ha operato sostituzioni né spostato uomini in campo né ordinato sistemazioni tattiche, e se le ha ordinate non si sono viste. Lo stesso era accaduto nel derby d’andata, quello del 5-1, capostipite dei mali di cui stiamo scrivendo: in quell’occasione, la stravagante mossa scopiazzata da un Guardiola di anni e anni fa del terzino che diventa mediano era rimasta tale e quale per tutta la partita mentre i nerazzurri, quasi increduli, allegramente banchettavano.

 

 

Il Milan cade quando a pochi metri da Pioli c’è un allenatore che mastica pedine e lavagnette. Nel 2024 in campionato è caduto contro Palladino e ha frenato contro Thiago Motta, i nerd della nuova generazione di mister: partite simili in cui il Milan non è mai riuscito ad assumere il controllo ma ha cavalcato le onde altrui. Stessa cosa contro l’Atalanta che all’apparenza, per stile di gioco, sembra il Milan ma in realtà è molto più abile a governare l’intensità dei match. La sconfitta contro Allegri è l’eccezione per Pioli: una gara persa per incapacità di imporsi piuttosto che di gestire. Domani (alle 15) il Milan affronterà il Sassuolo con molte riserve per risparmiare i deludenti titolari visti al Meazza per il ritorno all’Olimpico, ma il turnover avrà senso solo se Pioli e la squadra studieranno l’andata e impareranno l’ennesima lezione. In caso contrario, da giovedì in poi, sarà tempo di processi. E di sentenze.

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