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Inter, perché Lautaro è il simbolo del salto di qualità

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Claudio Savelli
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Lautaro Martinez. Avercene. Avercene di attaccanti capaci di essere sia numeri nove sia numeri dieci, di giocare con la squadra e di segnare, di muoversi in campo aperto e in area di rigore con la stessa efficacia, di difendere e di attaccare con la medesima intensità. Lautaro è il centravanti che tutti gli allenatori vorrebbero perché non è solo un centravanti. È di più. Nell’Inter che gioca secondo rotazioni, Lautaro sarebbe fondamentale a prescindere dai gol. Avercene di calciatori capaci di migliorarsi di anno in anno. Calciatori capaci di passare dai 6 gol in campionato nell’anno di esordio da riserva di Icardi ad un triennio sempre oltre i 20, in una crescita costante passata dai 14 e poi 17 degli anni con Conte. Che poi sono numeri che non descrivono l’importanza e le caratteristiche di Lautaro, ma servono a certificare la sua enorme umiltà. Avercene di bomber che, dopo metà stagione al ritmo di una rete a partita, si disinteressano della classifica marcatori e dell’eventuale record per il bene collettivo. A Lautaro, segnare interessa il giusto. Perfetto così.


Avercene di capitani così a soli 26 anni. Lautaro è diventato capitano all’inizio di questa stagione, contemporaneamente all’addio dei suoi vecchi partner, Dzeko e Lukaku, e quindi alla trasformazione da partner d’attacco a primo violino. È stato incaricato di una grossa responsabilità ma non l’ha subìta, come capitato a qualche collega in passato, né si è montato la testa. Lautaro non ha dovuto recitare la parte del capitano perché lo è diventato nel tempo, sia in campo sia nella vita. Avercene di giocatori che hanno atteso il loro momento. Ci si dimentica infatti che Inzaghi, al suo primo anno all’Inter, sostituiva Lautaro una volta sì e l’altra pure: delle 28 partite da titolare in A, ne ha terminate solo quattro. Lautaro si arrabbiava, ma mai è andato oltre i limiti dell’educazione e del rispetto. Ha sempre chiuso tutto lì, ricordando che quel trattamento faceva parte del suo percorso di crescita.

 


Avercene di ragazzi che sopportano le critiche di un mondo senza pazienza. C’era chi lo definiva un buon attaccante e niente di più, ora è uno dei migliori anche perché migliora ogni partner. Con Lautaro, infatti, giocano bene tutti. Se Thuram si è ambientato subito, è anche perché al suo fianco c’è il Toro che è perfetto in un attacco a due. Avercene di campioni del mondo che non tornano nel proprio club con la pancia piena. Anzi, che hanno più fame di prima. E che, nel pieno della carriera, scelgono di rinnovare con la propria squadra e di restare dove stanno bene, senza andare a cercare chissà cosa altrove. Avercene di Lautaro Martinez, capitano campione d’Italia.

 

 

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