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Inter, ecco il piano americano: tre comandamenti (e una rivoluzione per Beppe Marotta)

Claudio Savelli
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Oaktree è tante cose, ma partiamo da cosa non è. Non è una Onlus. Non è un’azienda fittizia. Non è una compagnia di sprovveduti. Fondata nel 1995, Oaktree è il più grande investitore di titoli in difficoltà o asset alternativi al mondo ed è uno dei maggiori investitori di credito. Dal 2019, il 62% delle azioni di Oaktree sono detenute da Brookfleid Corporation, società canadese di spessore mondiale specializzata nello stesso settore. L’Inter, da oggi, è uno di questi asset “alternativi”, ovvero al di fuori delle tre classi tradizionali quali azioni, obbligazioni e liquidità. Tra i clienti di Oaktree ci sono più di 100 piani pensionistici, più di 275 donazioni e fondazioni, più di 10 fondi sovrani e più di 500 aziende. L’Inter entra in un portafoglio corposo in cui lo sport è presente: dal 2020 c’è il 100% del Caen; in più uno dei co-fondatori, Steven Kaplan, è co-proprietario dello Swansea e azionista dei Memphis Grizzlies di Nba mentre un altro, Bruce Karsh, è azionista di minoranza e nel CdA dei GS Warriors.

Dalla mezzanotte di ieri, Oaktree può avviare la procedura per l’escussione del 99,6% delle quote dell’Inter. Cosa accadrà ora? Prima un perito dovrà stabilire l’equo valore di mercato del club e da questo sottrarre il valore del prestito compresi gli interessi e la passività, in modo da indicare a Oaktree la quota di credito rimasta da garantire a Zhang. Poi il tribunale del Lussemburgo impiegherà dai 3 ai 7 giorni lavorativi per le pratiche. Lo stesso tribunale nel 2018 aveva condotto il passaggio del 99,93% del Milan dall’insolvente Yonghong Li a Elliott, situazione che è stata paragonata a Zhang-Oaktree. Nella forma è simile, nella sostanza è ben diversa. Quel Milan versava in condizioni finanziarie, manageriali e sportive di gran lunga peggiori rispetto a questa Inter, dunque il lavoro a cui era chiamato Elliott era molto più profondo rispetto a quello che attende Oaktree.

 

Elliott ereditava una dirigenza (Fassone-Mirabelli) che aveva speso vagonate di soldi senza convincere e infatti la sostituì con Maldini-Massara mentre Oaktree può contare su una squadra, guidata dalla garanzia Marotta, che ha avviato un percorso di autosostenibilità e in quel percorso è pure arrivata a vincere, quindi a generare valore. A livello finanziario, il Milan nel 2018 era più sofferente: il costo rosa era superiore al fatturato contro il 60-65% dell’Inter attuale, il fatturato era da 213 milioni contro i quasi 400 a cui si attestano i campioni d’Italia, gli indici di solvibilità e liquidità erano certamente peggiori, il deficit era da -126 milioni contro i -30/40 previsti nel bilancio dell’Inter in chiusura a giugno. L’unico dubbio è se Oaktree vorrà sanare quest’ultima perdita, e come. Potrebbe versare a copertura (probabile) o chiedere plusvalenze (meno probabile).

 

Le plusvalenze non sono previste nel piano di mercato perché non più necessarie, essendo la proiezione del bilancio 2024/25 in equilibrio. Dovesse arrivare la richiesta, potrebbe essere ceduto a stretto giro un Dumfries, su cui si pensava di valutare le offerte. Di certo non una colonna della rosa che, dopo tanti anni di sacrifici, non è più obbligatorio vendere. L’altra differenza è che Oaktree, in realtà, è già presente nell’Inter dal 2021. Nel momento in cui ha concesso il prestito ha infatti chiesto e ottenuto di inserire due membri nel Cda del club, due persone (Carlo Marchetti e Amedeo Carassai) che sono al corrente delle operazioni avviate, ad esempio sui rinnovi di Lautaro, Barella e Inzaghi, e dei piani aziendali e sportivi (leggi “nuovo stadio”). Insomma, l’Inter cambia la proprietà ma la proprietà non cambierà l’Inter.

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