Cerca
Cerca
+

Primo Carnera, gli antifascisti in servizio permanente se la prendono col pugile: "Stava col Duce"

Francesco Specchia
  • a
  • a
  • a

Fascistone. Mai il termine “fascistone” fu più appropriato. Fascistone in camicione nero, con un piedone taglia 52, per un omone sparso su 2,05 metri d’altezza e 120 chili di muscoli. C’è un tocco di fiaccante avanspettacolo nella nuova fascistizzazione postuma di Primo Carnera. Ci mancava solo Carnera fascista sei il primo della lista. Carnera. Uno che, tra l’altro, è morto nel ’67, e a qualcuno dei compagni la cosa dev’esser sfuggita. Andiamo con ordine. Nella cittadina di Sequals che sarebbe rimasta a galleggiare in un torpido anonimato della tranquilla provincia di Pordenone se non avesse avuto come concittadino illustre l’ex pugile e wrestler Primo Carnera - appunto - divampa l’ineludibile polemica estiva.

Si voleva intitolare a Carnera lo stadio locale, ma nella frazione di Lestans, dove materialmente sorge l’impianto, si è però opposto all’intitolazione in quanto, si sostiene, l’atleta era fascista. Per questo si è contestata la scelta dell’intitolazione del gigante fascio al sindaco Enrico Odorico, chiedendogli di interrompere l’iter amministrativo. Iter che si è, naturalmente, interrotto, in attesa di accertamenti. Ora non conta tanto la sensazione di surrealtà che avvolge l’intera vicenda («Il presidente e tutti i ragazzi hanno proposto di intitolare lo stadio a Primo Carnera, visto che nessun impianto sportivo porta il suo nome. Ci fu un’ovazione», riferisce il sindaco).

 

 

Né conta il fatto che dei 2200 abitanti scarsi di Sequals, un pugno di antifascisti di professione, dal fortino del Consiglio comunale assedi la logica; e, soprattutto stravolga la storia stessa di questo paesotto che deve proprio alla memoria di Carnera il suo passato e il suo futuro. Tra l’altro – diatriba che pare uscita da un romanzo di Guareschi- nella frazione di Lestans si schierano contro Carnera, mentre, nell’altra, quella di Solimbergo tifano per lui. E, per inciso, ai fini della narrazione non conta neppure la grande parabola di Carnera, che il mondo ci invidia:dagli esordi in Francia fino alla vittoria del mondiale a New York contro Jack Sharkey nel 1933, dalla sconfitta contro Max Baer fino al suo nuovo riscatto nel mondo della lotta libera. Carnera fu molte cose.

Campione del mondo dei pesi massimi e titano dal cuore di meringa (durante la guerra divideva viveri e beni di prima necessità dagli amici stranieri, con il resto della popolazione locale); patriota in terra americana e montanaro in Friuli di famiglia povera; dotato di entusiasmo adolescenziale ma pure di un’ingenua e maestosa ignoranza per la politica. Di lui si sa con certezza che donò lustro al paese e alla nazione. Perciò, ora la polemica sulla «militanza fascista» spiazza, seppur inquadrata in un contesto oramai splendidamente fantascientifico. Ossia in un mondo in cui, per chi possiede la supervista antifascista e vede busti littori, orbaci e olio di ricino oltre lo spettro ottico comune, be’, risulta difficoltoso avventurarsi nei percorsi della storia, oltre lo steccato della pura ideologia.

Eppure Carnera, la «montagna che cammina», boxeur potentissimo quanto sgraziato, baluardo dell’Italia più antica profonda, accusato dagli americani di essere al centro di una carriera truccata (tesi sostenuta nel film di Mark Robson Il colosso d’argilla, anno 1956) meriterebbe qualche attenzione in più. Ma, sisa, la riconoscenza è il sentimento delle vigilia. Certo, dopo aver sconfitto Jack Sharkey, detentore del titolo, al Madison Square Garden, Carnera venne celebrato da Mussolini come simbolo di forza e romana virilità. L’atleta, sì, si esibì in camicia nera e salutava con il braccio teso e si appuntava il distintivo littorio sul petto senza sapere bene cosa significasse. Ma spiegatemi chi -tra sportivi, professori universitari, dipendenti pubblici, imprenditori privati, popolo vario - non aveva cavalcato o subìto, ai quei tempi, il regime fascista.

L’Italia intera era affascinata dal fascismo. Lo sport brillava per marketing fascista, a cominciare dalle Nazionali di calcio Campioni del mondo nel ’34 e ’38 (cancelliamo dalla storia Valentino Mazzola e Vittorio Pozzo?). Solo il calciatore Bruno Neri si rifiutò di tendere il braccio prima di una partita. Nell’accademia solo 12 professori rifiutarono il giuramento fascista. Non risulta che Carnera abbia mai partecipato a manifestazioni squadriste o sia imputabile di colpe. Era il regime ad essersi appropriato di lui, non il contrario. «Dunque all’appartenenza politica andranno affiancati altri elementi di valutazione per decidere se farne campeggiare il nome sullo stadio» fanno sapere dal Friuli. Non c’è bisogno di scomodare De Felice per riabilitare un crimine storico mai commesso. Siamo all’ennesimo ko tecnico del buonsenso, e della democrazia...

 

Dai blog