La narrazione che arriva dalla Spagna in merito alla squalifica del mezzofondista paralimpico Yassine Ouhdadi rischia di trasformarsi in qualcosa di più che una semplice cronaca sportiva. Accostare con insistenza il suo nome a quello di Jannik Sinner – come hanno fatto in questi giorni molti media iberici – sembra infatti rispondere a una logica strumentale, volta a rilanciare un caso ormai chiuso, con l’evidente obiettivo di gettare ombre sul campione italiano. Ma i fatti, se analizzati con attenzione, parlano chiaro: tra i due episodi esistono differenze sostanziali, che non possono essere ignorate.
Ouhdadi, trionfatore nei 5000 metri alle Paralimpiadi di Tokyo 2021 e Parigi 2024 nella categoria T13 (riservata agli ipovedenti), è stato ufficialmente squalificato per tre anni in seguito a una positività al Clostebol riscontrata in un controllo antidoping fuori competizione, effettuato prima dei Giochi parigini. Di conseguenza, perderà l’oro conquistato in Francia. Un colpo durissimo per il 30enne di origine marocchina, affetto da cataratta congenita a entrambi gli occhi.
La vicenda ha avuto grande risonanza in Spagna, dove il nome dell’atleta è stato immediatamente affiancato a quello di Sinner, anche lui trovato positivo in passato alla stessa sostanza. Tuttavia, se nel caso dell’italiano si è giunti a una sanzione lieve (tre mesi con patteggiamento) grazie alla dimostrata non intenzionalità, per Ouhdadi la situazione è ben diversa. L'atleta paralimpico non è stato in grado di provare come il Clostebol sia finito nel suo organismo, né tantomeno di identificarne con certezza l’origine.
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Lorenzo Musetti si è dovuto inchinare solo allo strapotere di Jack Draper. Ma il carrarese è in gran forma..."Quello che inizialmente pensavo fosse un errore si è trasformato in un incubo personale e sportivo. La causa era il Clostebol, uno steroide anabolizzante presente nelle creme oftalmologiche e ginecologiche per la guarigione delle ferite", ha scritto Ouhdadi sui social in un post poi rimosso.
Nonostante continui a proclamarsi innocente, l’atleta ha accettato la squalifica proposta dal Comitato Paralimpico Internazionale, consapevole della difficoltà, anche solo logistica, di risalire alla contaminazione avvenuta mesi prima. "Trovare la fonte è ciò che mi ha dato speranza, pensare di poterla ricondurre a un massaggio, o alla contaminazione da parte di qualcuno che l'ha usata ed è entrato in contatto con me. La speranza di trovare la fonte della possibile infezione si è trasformata in profonda impotenza e delusione. Cercare i contatti quotidiani di sette o otto mesi fa rende tutto più difficile".
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