A Loredana Bertè "devo la vita". La relazione chiacchieratissima tra Bjorn Borg e la grande popstar italiana non fu solo passione rovente e leggendarie scenate di gelosia. "Mi trovò a letto incosciente, chiamò l'ambulanza, all'ospedale mi fecero una lavanda gastrica", ha ammesso il grande tennista svedese in una intervista a Repubblica. Quello, spiega il 69enne dominatore del circuito Atp a fine anni Settanta e vincitore a Wimbledon per cinque edizioni di fila, fu senza dubbio il momento più buio della sua esistenza.
Era il 1989, a Milano, e Borg era sprofondato in un vortice di droghe, farmaci e relazioni sbagliate. A salvarlo fu appunto la Bertè, sua compagna di allora, che non esitò a intervenire chiamando i soccorsi. Nel libro autobiografico Battiti (Rizzoli), Borg ripercorre la sua parabola: "Il mio non fu un ritiro, ma una fuga. Dopo la sconfitta con McEnroe nel 1981, mi chiusi in casa, attraversai il giardino con una cassa di birre e decisi che era finita. Non provavo più gioia in campo, ma fuori non ero nessuno".
Il declino iniziò nei club newyorkesi, imprigionato nella bella vita del jetset internazionale: "Allo Studio 54 ho conosciuto Andy Warhol, mi regalò una Campbell's Soup con dedica. Poi arrivarono la cocaina, l'alcol, i medicinali. Mi stordivo con feste e festini, ero depresso, avevo attacchi di panico".
"Avevo paura di stare solo, sovrapponevo le relazioni. Conobbi Loredana a Ibiza, mi trasferii a Milano, ma per me quella città fu un disastro. Lei voleva un figlio, arrivai a depositare un campione di sperma per l'inseminazione. Ma per salvarmi dovevo fuggire da lei e da quell'ambiente", confessa. Nel libro, scritto con la moglie Patricia, Borg affronta anche i suoi errori, le perdite, la malattia (è stato operato per un cancro alla prostata) e il riassestamento esistenziale. "Non si passa indenni dal grande tutto al grande niente".