La Stampa ha dedicato ampio spazio alle parole di Pierfrancesco Favino, che nel nuovo film Il Maestro (regia di Andrea Di Stefano) interpreta Raul Gatti, ex talento del tennis travolto dalle sue stesse fragilità. Nel lungo dialogo con Fulvia Caprara, l’attore riflette sul lato più feroce dello sport e, inevitabilmente, parla anche di Jannik Sinner: “Quando si vince sempre si è da soli, ed essere da soli significa essere in balia di tutto quello che si pensa di te".
Favino parte dal tennis, disciplina che considera brutalmente sincera: "Nel tennis non hai alibi, non puoi dare la colpa al compagno". È uno sport che ti obbliga a guardarti dentro, a fare i conti con le vittorie ma soprattutto con le cadute: "Si impara più dalle sconfitte che dalle vittorie, i fallimenti sono importanti". Proprio per questo l’attore confessa di aver accolto senza allarmismo il sorpasso subito da Sinner qualche mese fa: un contraccolpo umano prima che sportivo. "Ho pensato che gli avrebbe fatto bene scendere al secondo posto, anche se avrebbe provato un po’ di depressione — dice —. Nel nostro tennis un numero uno come Sinner non l’abbiamo mai avuto e non siamo abituati".
Favino difende anche la scelta del campione altoatesino di saltare la Coppa Davis, decisione ampiamente discussa nel dibattito pubblico: "Non credo che nessuno possa mettersi nei suoi panni. Mi sembra solido a sufficienza per agire come ha agito". E ricorda come il ragazzo abbia poi risposto sul campo, tornando in vetta al ranking mondiale. L’attore allarga poi lo sguardo al rapporto dell’Italia con i suoi campioni: "Siamo sempre un popolo di allenatori, abbiamo un problema con i numeri uno". La simpatia nazionale, spiega, va spesso ai "disgraziati che ce la fanno per caso", più che ai vincenti strutturati. Un tratto culturale che condiziona anche la percezione dello sport di oggi, dove la pressione è enorme e costante. "Viviamo in un mondo in cui si parla di qualcuno solo se è sempre il numero uno", osserva Favino, apprezzando che molti tennisti inizino finalmente a condividere fragilità e disagi.
Quanto ai suoi miti, la nostalgia lo porta verso i ribelli di un tempo: Connors, McEnroe, Nastase, i "gaglioffi" che trasformavano ogni match in uno spettacolo. E chiude con un sorriso, ricordando l’amicizia con Adriano Panatta: "Mi ha fatto tanti complimenti sul film… se non fosse per quella mia volée di rovescio con la padella".