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Piantedosi e porti chiusi, "gli sono bastati pochi giorni..."

Francesco Specchia
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Si aspettavano il ragionier Filini, si sono ritrovati John Wayne. Si attendevano la quieta ombra del Capo, è arrivato un capo cazzutissimo che di mestiere sgombra le ombre. Per molti leghisti Matteo Piantedosi, neo ministro dell'Interno dopo -diciamo- la defezione di Salvini, era il Matteo sbagliato.
Ma è bastata una settimana di lavoro al Viminale per far sì che l'ex Capo di gabinetto sia di Luciana Lamorgese che di Matteo Salvini mostrasse una risolutezza vellutata e sovrumana al tempo stesso. Avellinese, 56 anni, una moglie pure lei viceprefetto e due figlie studentesse alla Luiss, una passionaccia per Pino Daniele, Garcia Marquez e la bicletta con cui ha scalato lo Stelvio: Piantedosi è l'erede di un preside riformista e democristiano -nonché amico di Fiorentino Sullo ministro dell'Istruzione negli arroventati sixties- e di una prof vecchio stampo.

 

 

 

L'uomo è tutto d'un pezzo e di poche, ruvide parole. Fin dagli esordi bolognesi della carriera da funzionario pubblico nell'89 dove preferiva aiutare gli agenti semplici (famosa la sua battaglia per una mensa dignitosa) che gli alti in grado, Piantedosi ha sempre avuto lo sguardo d'un carabiniere in servizio permanente e un cuore democratico incastonato in un mantello di roccia istituzionale. Di lui amici, compari e poliziotti affermano: «Si può dire che è il classico uomo di cui vuoi parlare bene e non riesci a spiegare mai la ragione». Essendo stato proposto al governo Meloni come tecnico in quota Lega, la sinistra meno informata se ne aspettava una naturale sudditanza, e un suo «scondinzolare dietro le terga infiammate di Salvini». Ingenui. In tre giorni, ecco il Prefetto prendere di petto temi così scottanti da spiazzare l'intero governo prima ancora dell'insediamento.

 

 

 

IL CASO LIBIA

L'azione d'esordio è stata convocare i vertici dell'Intelligence per essere resocontato sulla situazione Libia. E per capire se davvero l'ex-colonia sia «un buco nero» ormai avulso dall'influenza italiana (lo è). Ma pure per realizzare se, invece, sussistano margini di operatività per governare una Guardia Costiera addestrata e attrezzata dall'Italia, prevenendo il traffico di uomini con l'aiuto di milizie locali. Il suo secondo atto è stato una robina tranquilla. Piantedosi ha bloccato i viaggi irregolari e i flussi di migranti clandestini fermando le Ong avvezze inopinatamente sul carico-e-scarico sullo nostre coste. Il tutto senza coordinamento delle autorità di soccorso, mentre gli Stati di cui le stesse navi battono bandiere - Norvegia e Germania- si giravano dall'altra parte.

Piantedosi li ha costretti a rivolgere lo sguardo verso le proprie responsabilità, con calma olimpica e respiro prefettizio; e ha spiegato che governare i flussi significa «fare in modo che siano gli Stati, quelli di origine e destinazione, a governarli concedendo a questi Paesi delle quote di flussi di ingresso regolare». Come dire che, da ora in poi, porti chiusi, e non ce n'è per nessuno; e questo nonostante la vibrata protesta della nave Humanity1 da lui coerentemente fermata in mare aperto. Ammazza. Perfino Salvini, che pure ai tempi l'aveva coinvolto nelle sue notorie operazioni di respingimento, è rimasto spiazzato.

 

 

 


Terza azione strategica del nostro: dopo aver gettato il masso nello stagno, urgeva rassicurare sulla sua idea di sicurezza nazionale. «La crisi socioeconomica, l'invecchiamento della popolazione e la mancata cura del degrado urbano fanno aumentare la paura e questo è un tema di cui dobbiamo farci carico», ha spiegato il neoministro «serve fare attenzione alla strumentalizzazione della paura», evitando che ci sia perciò «un avvitamento della protesta. Ne abbiamo già qualche primo segnale. Occorre equilibrio e moderazione». Equilibrio & moderazione. Che un po' sottende legge & ordine. Come dire: non ci provate a usare le piazze a mo' d'arma politica contro i fascisti immaginari. Nel frattempo, erano accaduti gli scontri alla Sapienza con tanto di manganello contro gli assalti violenti di studenti ai relatori universitari, neanche fossimo a Berkley negli anni '60. Davanti alla stampa e a Selvaggia Lucarelli che gli davano indirettamente del bruto e dello sbirro, Piantedosi ha dichiarato: «La polizia ha fatto in modo che non ci fosse l'assalto ad una cerimonia che si stava svolgendo liberamente».
Punto. Senza fronzoli e giustificazione alcuna. Come dire: ok, provateci ancora... Va detto che qui, a parte qualche sbuffo di ribellione degli anarchici, è calato il silenzio degli avversari politici. Forse qualcuno si è ricordato che Piantedosi era quello applaudito dal Manifesto e dalla sinistra radicale, ai tempi bui del terrorismo islamico, per «essersi schierato contro pericolose equazioni», avendo egli affermato che «non c'è nessun collegamento automatico tra terrorismo e immigrazione».

 

 

 

 

Giuridicamente assai preparato ma tutt' altro che tignoso cane da pandette, cultore di una legge vista come corpo vivente, carne e sangue, Piantedosi era anche il collaboratore stimatissimo da Annamaria Cancellieri, ex ministra montiana, commissaria a Bologna e sua ex capa. Era quello che non si diede requie per l'omicidio, ad opera delle Brigate Rosse, di quel Marco Biagi a cui non venne assegnata la scorta. Era quello additato ad esempio dall'intero arco costituzionale della città falsinea per essere stato in grado «non solo di risolvere i problemi dei cittadini, ma di andare a stanarli». Tenete conto che, appena sollevatasi la polemica sui soldi cash attizzata dalla Lega, Piantedosi ha prontamente commentato a Porta a Porta: «I criminali che vogliono riciclare non si fanno il problema del tetto del contante». Una roba molto politicamente di destra, ma letta e servita al popolo come un giudizio tecnico.
 

I RINGRAZIAMENTI

Sicché, dopo aver commentato, in modo coerente col mood di un governo schiettamente conservatore, ecco che ieri il ministro, nel giorno del commiato dal Campidoglio, veniva pubblicamente ringraziato dal sindaco Roberto Gualtieri, per i servigi nel ruolo di Prefetto di Roma. Un Matteo al posto di altro Matteo. Non è andata malaccio. Avevano scambiato Piantedosi per un modesto travet, pupazzo in mani leghiste; be', è un prefetto perfetto che sta menando sberloni dall'autonomia molto differenziata nello stile di un poliziottesco. Pochi criticano, molti applaudano, alcuni perfino, ringraziano... 

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