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Ong, "più navi in mare e più soldi agli scafisti": il report degli 007

Tommaso Montesano
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I barconi «particolarmente capienti» dalla Libia; i natanti «di dimensioni più contenute» dalla Tunisia. Resistenti, in grado di raggiungere l’Italia anche con condizioni meteorologiche avverse, i primi; molto meno sicuri, ma veloci e difficilmente identificabili, i secondi. In comune, le “flotte” protagoniste nelle due rotte che nel Mediterraneo centrale “collegano” il Nordafrica e le coste del nostro Mezzogiorno, hanno un’«offerta di servizi per i migranti irregolari estremamente flessibile», in grado di adattarsi «velocemente» ad ogni tipo di scenario, politico e climatico.

Sono organizzazioni talmente strutturate, quelle che alimentano i flussi migratori clandestini, che il traffico verso l’Italia è perfino pubblicizzato sui social network. Punto forte: la presenza del «naviglio» delle Ong, oltre a quello del dispositivo di soccorso istituzionale (Frontex e Guardia costiera e Guardia di Finanza), nella zona delle operazioni. Perché più imbarcazioni ci sono, maggiore è la «garanzia» di riuscita del viaggio verso l’Europa. Quale che sia la qualità del battello di partenza, visto che qualcuno che “raccoglie” i migranti si trova sempre.

 

 

È tutto nero su bianco quello che sta succedendo nel Mediterraneo in questi giorni. A scattare la fotografia, poco meno di un anno fa, sono stati i nostri Servizi di intelligence in occasione della relazione annuale tramessa al Parlamento sulle politiche per la sicurezza (l’ultima è stata presentata alla fine di febbraio). Un elemento su tutti: il rapporto tra l’aumento delle navi Ong davanti alle coste africane e l’attività delle organizzazioni criminali.

 

ATTIVISMO SOSPETTO

Ecco i numeri: nel 2021 gli arrivi via mare sulle coste italiane sono stati 67.040. Di questi, la maggior parte ha riguardato provenienze dalla Libia (31.119) e dalla Tunisia (20.218). Dodici mesi dopo, il quadro è cambiato in peggio. Nel 2022 gli arrivi via mare sono diventati 104.580: 53.119 dalla Libia; 32.101 dalla Tunisia. Ma c’è un altro dato che hanno evidenziato i nostri 007: l’aumento del soccorso in mare effettuato dalle navi delle Ong, principalmente nell’area di ricerca e soccorso libica. Una proporzione assente nel report dell’anno precedente. E dunque: su 57.028 migranti recuperati nel Mediterraneo nel 2022 in conseguenza di operazioni di search and rescue (Sar, ricerca e soccorso), 45.136 sono stati il frutto delle attività di soggetti istituzionali, ma 11.892 sono stati opera delle Ong. E qui entra in ballo il traffico marittimo: più “facilitatori” ci sono, maggiore è il vantaggio logistico per i trafficanti di uomini.

 

 


L’analisi dell’intelligence è tanto semplice quanto disarmante: se la “flotta” di soccorritori è nutrita, i network che “vendono” il viaggio per l’Italia possono permettersi di «ridurre la qualità delle imbarcazioni utilizzate». Aumentando, allo stesso tempo, i margini dei loro «profitti illeciti». Ma se i natanti sono inadeguati, diventa più concreto il rischio di naufragio delle persone imbarcate sulle coste nordafricane. A maggior ragione se i mezzi utilizzati dai tunisini, che oggi rappresentano la terza etnia dichiarata al momento dello sbarco in Italia (più 60% rispetto al 2021), sono in partenza «meno resistenti» di quelli usati dai loro colleghi libici.

 

 

 

NODO TUNISINO

Una conclusione evidenziata, in sede di presentazione del rapporto degli 007, da Alfredo Mantovano, sottosegretario di Palazzo Chigi: «Se io piazzo in prossimità delle acque territoriali navi che non vengono chiamate per specifiche attività di soccorso, aumento la probabilità che barchini e imbarcazioni di fortuna partano dalla terraferma nella speranza di trovare queste imbarcazioni rifugio. L’incremento di queste partenze su navi di fortuna aumenta la probabilità di incidenti, naufragi e morti in mare». Parole pronunciate nei giorni in cui infuriava la polemica sul naufragio di Cutro, sulle coste calabresi. Ad arricchire il dossier dei rapporti tra Ong e network criminali erano state, a dicembre, anche le testimonianze emerse nel corso del processo Open Arms a Palermo, dove è imputato Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture. Un’informativa della Marina militare, infatti, redatta sulla base di due audio, ventisette video e sedici immagini raccolte dal primo agosto del 2019 per quasi 17 ore dal sommergibile “Pietro Venuti”, mostrò come la nave della Ong spagnola «senza alcun apparente motivo», modificò rotta e velocità per raggiungere un barcone di migranti. Ma in quel momento l’imbarcazione «si trovava a distanza ottica/radar dalla quale non era in grado di poter visualizzare il barcone» con i naufraghi a bordo. Il sospetto è che la Ong conoscesse in anticipo le coordinate della barca da soccorrere. Se ne saprà di più nella prosecuzione del processo.

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