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Facebook, Amazon, Google, qual è (davvero) il valore dei nostri dati?

Ogni giorno si contano 42 miliardi di messaggi su WhatsApp, 150 miliardi di e-mail e 66 miliardi di foto su Instagram. Un giro di dati, e di affari, che supera i 100 miliardi di dollari. Tutte informazioni, e denari, nelle mani dei giganti dei web: Google, Amazon, Apple, Meta e Microsoft. Se è ormai informazione assodata che in Internet nulla è gratis e che se un prodotto è gratis allora quel prodotto sei tu, una delle principali criticità del trattamento dei dati personali sul web rimane l’uso, da parte dei motori di ricerca, delle preferenze espresse dagli utenti nel momento in cui avviano una ricerca online e delle “tracce” digitali che lasciano (dalla posizione rilevata dal Gps ai click che abbiamo fatto). Da qui, come scrivono gli esperti informatici Fabio Pompei e Alessandro Alongi, “Facebook definisce chi siamo, Amazon cosa vogliamo, Google cosa pensiamo”. Tanto che secondo lo studioso americano James P. Bagrow anche senza essersi mai iscritti a un social, i post o le foto pubblicate dai nostri amici che ci menzionano sono sufficienti a rivelare attività passate e future di noi, insieme a una serie di informazioni “sensibili” come la predilezione per un partito politico o una religione, con un’accuratezza del 95%.

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