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Nell'atelier di Dante Ferretti, lo scenografo italiano vincitore di tre premi Oscar

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Per arrivare a 75 anni con la tempra di Dante Ferretti bisogna essere cittadini del mondo (“Ho realizzato 85 set dalla Sardegna al Giappone, ho due passaporti ma mi sento a casa solo qui, a Cinecittà”) e, insieme, eterni provinciali (“Con Scorsese ci siamo intesi subito perché lui è un siculo d'America”). Per immergersi nel suo universo artistico, invece, bisogna varcare un androne nascosto tra gli Studios di via Tuscolana. Dove il maestro dà il benvenuto a tutti (“tranne ad uno” come da cartello, ndr) circondato da un trionfo di premi (tra cui tre Oscar), busti, foto di scena, bozzetti. Alla parenti, i suoi enormi dipinti esposti per sei mesi al Moma e che lui definisce, con l'autoironia tipica dei vecchi artigiani del cinema, “tutti miei autoritratti: sono navi che vanno a picco, e anche io sono un rottame”. Sopra l'ingresso del suo studio è incisa la scritta “C'era una volta..”. Un rimando alla “sua” Cinecittà. Quella gloriosa dei Pasolini, Fellini, Petri, Zeffirelli, come di Martin Scorsese e Terry Gilliam,. Lei ha dato vita ai loro mondi, fatti di travi e di sogni. Quali set ha amato di più? Tutti quelli di Pasolini con cui ho fatto 8 film, altri sei con Fellini tra cui “Satyricon”, poi “Gangs of New York” (purtroppo demolito) e “Le avventure del barone di Münchausen”, definito da Variety il set più incredibile della storia del cinema e che nel 1988 mi procurò la prima nomination all'Oscar. Di recente ha ricostruito lo splendido cinema Fulgor, il tempio di Fellini a Rimini. Ma al maestro di “Amarcord” lei oppose un gran rifiuto, a inizio carriera.. Fellini mi propose di lavorare insieme per “Roma” ma gli risposi: “Non posso, chiamami tra dieci anni. Perché mi devi rovinare la carriera? Se c'è qualcosa che non va, tu mi cacci e io so rovinato” (ride) Dopo dieci anni, anche se ci vedevamo spesso a Cinecittà, una notte ci siamo incontrati. Lui stava finendo “Casanova” e io “Todo Modo” di Petri. Si avvicina e sorride: “Dantino, sono scaduti i dieci anni. Mo' tocca che lavori con me”. Da quel momento, non ho mai smesso. Mi ha dedicato anche moltissimi bozzetti che conservo e sono onorato di lavorare alla creazione del Museo Fellini dentro al suo regno: Cinecittà”. Stesso copione con Scorsese, a cui oppose addirittura due rifiuti.. Scorsese l'ho conosciuto quando venne a Cinecittà a trovare Fellini, sul set della “Città delle donne”. Era con Isabella Rossellini e i genitori. Era venuto per sposarsi in Italia. Mi chiamò per girare “L'Ultima tentazione”, lo ringraziai ma ero impegnato con Gilliam. Mi richiamò in seguito, ma ero ancora occupato. La terza volta mi chiamò nel 1993 per “L'età dell'Innocenza”. Stavo a Los Angeles, ho risposto: “Arrivo di corsa”. Da allora siamo al decimo film insieme, che è “Killers of the Flower Moon”. In una foto è ritratto con Tim Burton e in un'altra abbracciato al Dalai Lama. Come li ha conosciuti? Sul set di “Kundun” il Dalai Lama mi fece una piantina del Podala, il palazzo reale di Lahsa dove abitava. Mentre Burton mi chiamò per un film, a cui lavorai per 7 mesi tra la Cina e Londra. Il giorno prima del ciak, mi avvisano che Tim mi vuole parlare. Lui era vestito tutto di nero, sudato, mi ha abbracciato e si è messo quasi a piangere. Il film costava 220 milioni di dollari, i produttori si erano ritirati, però aveva un altro film “solo da 50 milioni”: “Sweeney Todd ” “Tu lo faresti?” “Certo, figurati”. E ci presi un altro Oscar nel 2008”. di Beatrice Nencha

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