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Immigrazione, la onlus che per farli integrare insegna ai migranti ad andare in kayak in Sardegna

Giulio Bucchi
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Buongiorno, vi presentiamo in esclusiva la tipica giornata estiva del migrante. Ore 8: sveglia. Ore 8.30: colazione abbondante. Ore 9: lettura dei giornali che raccontano di quanto sia bella l' immigrazione (Repubblica sta in cima alla pila). Ore 10: escursione all' area naturalistica. Ore 11: allenamento con istruttori di canoa. Ore 12: prima uscita in kayak. Ore 13: pranzetto ristoratore dopo la fatica. Ore 15: pisolino. Ore 18: bighellonaggio. Ore 19: picnic per rinfrancarsi dal pisolino e dal bighellonaggio. Ore 20: musica e balli africani. Ore 21.30: pagaiata sotto le stelle. Ore 23: meritato riposo notturno. È una vita dura, ma qualcuno la deve pur fare. A sacrificarsi, con una scaletta di appuntamenti più o meno simile, ci hanno pensato i migranti - pardon richiedenti asilo - ospiti del centro Sprar di Sassari "Fallu Baddà", gestito dalla ong Gus (Gruppo di Umana Solidarietà). Per smentire la diceria secondo cui gli immigrati vengono qui a toglierci il lavoro, i responsabili del centro hanno creduto opportuno non farli lavorare, ma destinarli a ben altre attività, quelle sportive. Così si sono inventati dei corsi di kayak per profughi, articolati in una serie di lezioni e in una sortita notturna: armatili di giubbotti salvagente e di pagaie, li hanno sistemati in canoa e affidati a degli istruttori che insegnassero loro a remare. Altro che braccia rubate all' agricoltura, queste sono braccia consacrate al kayak Ora, piazzare dei migranti in mare, su un barchino e lasciarli andare al largo non pare proprio un' ideona, visto che parliamo pur sempre di gente che il mare lo ha sfidato su un barcone. Ma l' iniziativa è stata venduta come un' occasione di integrazione, di socializzazione, e come un tentativo di coniugare esercizio fisico e rispetto dell' ambiente. Venduta così e pagata da noi. Perché quelle attività di riscatto del migrante, con la collaborazione di associazioni sportive come Kanosar e Uisp, sono rese possibili dal pacchetto che lo Stato destina alle coop per la gestione dei migranti. Da quei famosi 35 euro, gli stessi che il ministro dell' Interno Salvini vorrebbe sforbiciare portandoli a una ventina. Ma soprattutto iniziative del genere fanno capo all' idea per cui, anziché coinvolgere i presunti profughi in attività socialmente utili, è preferibile destinarli a hobby, svaghi, pratiche ludiche. A quella che qualcuno chiamerebbe una "pacchia". Come capitato lo scorso 23 giugno, Giornata Mondiale del Rifugiato, allorché gli stessi gestori del centro di Sassari hanno messo a punto per i migranti un fitto programma che andava dal picnic di gruppo ai balli africani con l' imperdibile musica di Koury Ndiaye. E tutto questo al fine di "ricordare la centralità dei diritti umani e l' importanza dell' accoglienza". Ai tempi non c' era stata ancora la genialata della canoa. Ora che invece l' iniziativa è partita invitiamo i coordinatori del centro a essere più ambiziosi, trasformando questo passatempo in un' opportunità agonistica. Massì, rendiamo i richiedenti asilo degli atleti, arruoliamoli nei nostri corpi di Polizia e di Sport, una sorta di Fiamme Nere accanto alle Fiamme Gialle, e lavoriamo perché diventino beniamini amati dal pubblico, novelli campioni, simboli di un' integrazione riuscita, di un Paese che torna grande nello sport grazie alla sua società multiculturale. È giunto il tempo di cambiare: dopo i fratelli Abbagnale, i fratelli Abba Bin Salah; dopo le medaglie d' oro Rossi&Bonomi, ecco i Neri&Buonisti. Ovviamente la loro formazione agonistica sarebbe a carico del contribuente. Loro pagaiano, noi paghiamo. di Gianluca Veneziani

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