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Lettere minatorie del fisco per recuperare 6 miliardi

Matteo Legnani
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Le lettere sono pronte, e debbono solo essere spedite. L'Agenzia delle Entrate invierà nelle prossime settimane circa 2 mila missive di avvertimento alle grandi imprese italiane e alle medie imprese che negli anni scorsi risultavano ricomprese nella categoria superiore. Chi le riceverà si troverà con tono molto amicale una sorta di avviso di garanzia fiscale: l'Agenzia delle Entrate ipotizza una serie (in molte ci saranno anche esempi di dettaglio) di possibili violazioni compiute alla normativa fiscale ed è pronta ad avviare le procedure classiche di accertamento, con tutto quel che ne potrebbe conseguire. Dal tenore della lettera si comprende che l'Agenzia è pronta all'azione, ma si lascia al grande contribuente la possibilità di evitare i guai ben conosciuti. Come? Rispondendo in tempi brevi alla lettera e dichiarandosi disposto a regolarizzare le possibili mancanze fiscali individuate. Può farlo senza grandi guai suppletivi nell'arco di quasi due anni. L'operazione è stata illustrata dallo stesso nuovo direttore del'Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, durante una cena informale con un gruppo di parlamentari (deputati e senatori) circa due settimane fa. Verrà presentata ovviamente come una sorta di «Fisco amico» nei confronti dei grandi contribuenti, o per dirla in modo più tecnico, come un tassello fondamentale del capitolo «tax compliance» che deriverebbe dall'approvazione della legge delega in materia fiscale e dalle recenti direttive arrivate dal ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Ma è chiaro che quelle duemila lettere hanno anche la funzione di sollecitare nuove entrate nelle casse dello Stato contando sulla paura di controlli che ogni impresa ha. E infatti si ipotizzano al momento maggiori entrate oscillanti fra 5 e 6 miliardi di euro. Per altro non è che nel 2014 stia brillando troppo l'attività di contrasto all'evasione. Cade il Pil, si evade anche meno: c'è crisi proprio per tutti, e la Agenzia delle Entrate non ne è immune. Nella relazione sull'evasione fiscale che il ministero dell'Economia ha allegato all'ultimo Def si rivela infatti come l'anno non sia iniziato con risultati straordinari, anzi. «Nel corso del primo quadrimestre del 2014», scrive Padoan, «si è registrata una contrazione pari a 50 milioni degli incassi derivanti da attività di liquidazione dell'imposta, dovuta ad una riduzione dei versamenti diretti dello 0.69% e una cospicua diminuzione della riscossione coattiva del 7,65%». Nello stesso documento per altro si spiegava: «Ai fini del miglioramento dell'attività di contrasto all'evasione, assumono particolare rilevanza tutte le forme di contatto e comunicazione con i contribuenti, idonee a migliorare il rapporto con il Fisco, in un'ottica di fiducia, ai fini dell'innalzamento del livello di adempimento spontaneo (c.d. tax compliance)». Il ministero dell'Economia ha chiesto alla Agenzia delle Entrate di consolidare «l'attività di analisi della posizione fiscale di ciascun grande contribuente (attraverso il tutoraggio) in modo da assicurare una maggiore efficacia del giudizio prognostico circa la maggiore o minore rischiosità dei soggetti», compilando una sorta di lista di buoni e cattivi sotto il profilo fiscale che costituisce la base analitica proprio per la scelta del campione a cui inviare quelle duemila lettere. Padoan ha spiegato al Parlamento che «saranno previsti sistemi di gestione e controllo interno dei rischi fiscali da parte dei grandi contribuenti. La loro esistenza consentirà un rapporto con il fisco basato su maggiore trasparenza del contribuente circa il proprio operato, un'interlocuzione più assidua con l'Amministrazione Finanziaria, il chiarimento tempestivo di dubbi interpretativi: quindi, maggiore certezza. Sarà potenziato il tutoraggio, anche nei confronti dei contribuenti minori». La richiesta sostanziale di presentarsi al fisco con le mani in alto viene presentata dal governo come corollario delle nuove norme sul ravvedimento operoso inserite nella legge di stabilità 2015, ma tutto sembra meno che una strizzatina d'occhio ai contribuenti. È evidente che i costi legali e organizzativi di subire un accertamento, con i rischi che comporta il procedimento, potrebbe convincere molte imprese ad aderire alla richiesta che arriva dalla Agenzia delle Entrate, senza nemmeno provare a fare valere in modo così costoso le proprie ragioni. D'altra parte la stessa Agenzia ha percentuali di successo nel settore piuttosto invidiabili. Nel 2013 ha eseguito a campione 2.981 accertamenti, e di questi 2.923 sono risultati positivi per l'Agenzia, che ha portato alla luce imposte non pagate per 1,668 miliardi di euro. di Franco Bechis

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