Verso la nazionalizzazioneEcco come lo Stato italianoentrerà nel Monte di Siena

Anche Profumo, presidente Mps, ammette: "La nazionalizzazione è possibile". Come? Tassi altissimi e rimborsi in azioni: il piano è già scritto
di Andrea Tempestinigiovedì 31 gennaio 2013
Il Monte dei Paschi di Siena

Il Monte dei Paschi di Siena

4' di lettura

  di Francesco De Dominicis Quella del Monte dei paschi di Siena corre il rischio di diventare una «nazionalizzazione occulta» ha detto ieri Renato Brunetta al ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, al termine dell’audizione in parlamento sul caso Mps. «No - ha replicato Grilli - spero che paghino presto». La possibilità che la banca senese non entri nel recinto pubblico sta tutta qui: nella debole «speranza» dell’inquilino di via Venti Settembre sulla concreta possibilità che Rocca Salimbeni riesca a rimborsare i cosiddetti Monti bond: 3,9 miliardi di euro.   Se Mps, dunque, non riuscirà a restituire l’aiuto pubblico, pagando il capitale e gli interessi, il Tesoro diventerà il maggior azionista. Secondo l’attuale valore di Borsa, via Venti Settembre avrebbe una quota pari «all’82% del capitale» dell’istituto, come ha spiegato lo stesso Grilli ieri a Montecitorio in una infuocata seduta delle commissioni Finanze di Camera e Senato. Insomma, ci siamo: Mps si appresta a uscire dalle grinfie della fondazione e del Partito democratico per essere parcheggiata «a tempo»  nel portafoglio del ministero dell’Economia. La strada appare segnata e forse obbligata.  Del resto, il prestito statale - come già spiegato su queste colonne sabato 26 gennaio - prevede costi assai  salati per Mps. Che dovrà riconoscere allo Stato un rendimento pari al 9% per il biennio 2013-2014 a cui aggiungere un ulteriore 0,5% l’anno fino a un tetto massimo del 15%. Roba da cravattari. Si capisce, quindi, la sostanziale impossibilità, per la banca, di onorare i patti. Lo stesso presidente del gruppo di Siena, Alessandro Profumo, seppur  a denti stretti, sta  allenando il mercato a questa eventualità. «Potenzialmente» una statalizzazione di Mps «può accadere» ha spiegato l’ex numero uno di Unicredit. Il quale ha tenuto a precisare di aver   «fatto un piano industriale con il nuovo cda e management che dovrebbe consentirci di restituire» i Monti bond. Profumo sa benissimo di trovarsi dinanzi  una vera e propria mission impossible. Tuttavia -  per ovvie ragioni legate alle reazioni non di rado scomposte dei mercati finanziari, alla tranquillità dei 6 milioni di clienti oltre che dei 31mila dipendenti - il presidente del Monte paschi deve trasmettere fiducia. Di qui il richiamo al piano industriale. «C’è tantissimo lavoro da fare - ha spiegato  - e questo è quello che noi ci siamo impegnati a fare». Sta di fatto che i tasselli del puzzle che spingono Mps nel recinto pubblico si stanno unendo, uno dopo l’altro.  Altro segnale importante è arrivato dalla fondazione. Che al momento ha in mano circa il 34% delle azioni Monte paschi  e lunedì ha annunciato di voler mettere in vendita un pacchetto del 10%.  Operazione che sarà completata quando il titolo  tornerà sopra 0,30 euro: ieri Mps ha chiuso  in rialzo del 2,29% a 0,267 euro. Il traguardo fissato da palazzo Sansedoni non è  lontano.    Un passo indietro, quello della fondazione guidata dall’ex direttore Asl Gabriello Mancini, per fare spazio a investitori «privati» ai quali sta dando la caccia anche Profumo. Il presidente ha in tasca  un aumento di capitale da 1 miliardo di euro: entro il 2015 deve trovare nuovi soci. In quella fase, lo Stato potrebbe aver già messo piede nel capitale con una prima conversione dei titoli in azioni, pari al 12% del capitale. Quota che, come accennato, potrebbe progressivamente salire fino a superare il muro dell’80%, certamente  non inferiore al 70%. Ciò perché ai 3,9 miliardi di capitale bisogna aggiungere 400 milioni l’anno di interessi: cifra che nel giro di 5 anni - nel 2018 - potrebbe assicurare, di fatto, al Tesoro un pacchetto complessivo di 5,5 miliardi di euro. Una fetta enorme se si tiene conto che oggi Mps in Borsa vale grosso modo  2 miliardi. Il premier Mario Monti ha parlato di «nazionalizzazione di risulta» e probabilmente non sbaglia. Il percorso è stato studiato a fondo da tutti i soggetti coinvolti: Governo, Banca d’Italia, Consob e vertici del Monte paschi: in pratica è un passaggio morbido, in modo da evitare scossoni ed effetti negativi sulla stabilità dell’intero sistema bancario italiano, visto che Mps è il terzo player del Paese.  Si tratta, in ogni caso, di una soluzione in grado di garantire solide basi all’istituto. «In questa situazione di caos è il minore dei mali» dice un banchiere romano di lungo corso. Convinto della necessità di «risanare il gruppo e rimetterlo sul mercato solido e col motore a pieni giri». Non solo: la nazionalizzazione lascerebbe intatti gli ampi poteri da mesi assicurati a Profumo e all’amministratore delegato, Fabrizio Viola. I quali, nei fatti, sono già i commissari del Monte paschi. Qualcuno, però, ancora non se n’è  accorto.