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Tesoro, buco da 8 miliardi: colpa dei derivati per entrare nell'euro

Relazione della Corte dei Conti: gli strumenti finanziari sottoscritti negli Anni Novanta per rincorrere la moneta unica, ristrutturati nel 2012, oggi sono una perdita

Giulio Bucchi
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Bomba a orologeria da 8 miliardi di euro che incombe sui nostri conti pubblici. Secondo Repubblica e Financial Times, che citano la relazione del Tesoro sul debito pubblico inviata alla Corte dei Conti a inizio 2013, i derivati sottoscritti negli anni Novanta per consentire alle casse italiane di farsi trovare pronte per l'appuntamento con l'euro rappresentano una perdita potenziale da almeno 8 miliardi di euro. Si tratta di oltre il 25% degli strumenti di copertura di tassi e di cambio del debito ristrutturati dal ministero dell'Economia nel 2012. Oggi quel fardello del passato presenta il conto e rischia di pesare non poco sui conti pubblici attuali e dei prossimi anni, in un momento già di gravissima sofferenza. Saccomanni: "Grande malinteso" - Nel mirino ci sarebbe l'attuale presidente della Bce Mario Draghi, che tra 1991 e 2001 è stato direttore generale del Tesoro". "ll Tesoro italiano rilascerà o ha già rilasciato un comunicato in cui chiarirà tutti questi aspetti", è il lapidario commento di Draghi. Ed eccolo, quel comunicato. Quanto riportato da Republica e Financial Times viene definito "illazioni", mentre il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni parla di "un grande malinteso": "La copertura ha un costo ma questi sono largamente inferiori ai rischi che si correrebbero nel caso non fossero attivati questi strumenti", ha detto il ministro a proposito dei derivati. La precisazione del Tesoro - Il Tesoro, invece, ricorda come "la Corte dei Conti nel mese di marzo 2013, tramite la Guardia di Finanza, ha chiesto la documentazione inerente alla sola attività di chiusura di un gruppo consistente di operazioni con Morgan Stanley". Alla luce di tale richiesta, il dipartimento sottolinea di avere "fornito tutta la documentazione richiesta, secondo tempi concordati con la Guardia di   Finanza stessa, per ciascuna operazione, inclusi i contratti pregressi dai quali ciascuna operazione ha avuto origine, corredata da una circostanziata relazione esplicativa". "La filosofia di fondo dell'operatività in derivati della Repubblica  - prosegue la nota - si basa su criteri ispirati al perseguimento dell'interesse dello Stato, mirando alla protezione dai rischi di mercato, primi fra tutti il rischio di cambio e il rischio di tasso di interesse". In particolare, si legge ancora, "l'attività in derivati è stata mirata a conseguire l'allungamento della duration complessiva del debito, al fine di proteggere da un eventuale rialzo dei tassi, pagando tasso fisso e ricevendo variabile". In sostanza, è la conclusione, è "assolutamente priva di ogni fondamento" l'ipotesi che l'Italia "abbia utilizzato i derivati alla fine degli anni Novanta per creare le condizioni richieste per l'entrata nell'euro".  

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