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Vladimir Putin: "Portatemi Al Baghdadi: vivo o morto"

Matteo Legnani
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«Portatemi Al Baghdadi vivo o morto»: sarebbe questo l'ordine che Putin avrebbe impartito ai generali russi impegnati nell'operazione in Siria. La notizia viene dall'agenzia di stampa iraniana Tansim News, che cita una fonte del Cremlino definita «ben informata», secondo cui il presidente russo vorrebbe addirittura vedere il Califfo dello Stato Islamico «giustiziato, e il cadavere esposto in pubblico«. E «nel caso non fosse possibile prenderlo vivo», bisognerebbe allora portare in Russia «almeno la salma». È sempre l'agenzia iraniana a sostenere che la richiesta di Putin di portare il Califfo a Mosca «mira a mettere in imbarazzo gli Stati Uniti ed evidenziare il fallimento della Coalizione internazionale» a guida Usa. Ma forse il discorso è un po' più complesso, specie tenendo conto del momento di grande protagonismo che il presidente russo sta vivendo sulla scena internazionale. Da una parte, infatti, al di là delle indiscrezioni su Al Baghdadi, Putin ha parlato ieri in modo ufficiale a Astana: capitale del Kazakistan in cui era in corso un vertice di quella Comunità degli Stati Indipendenti che ancora riunisce nove delle quindici repubbliche ex-sovietiche, più il Turkmenistan che è associato (stanno fuori i tre Paesi baltici, che non vi hanno mai aderito; la Georgia, uscita nel 2009; e l'Ucraina, uscita nel 2014). E a Astana i presenti hanno deciso la creazione di una task force comune per difendere i confini in situazioni di crisi sullo sfondo del conflitto in Afghanistan nella paura che infiltrazioni jihadisti risveglino il terrorismo islamico dormiente in Russa. Una mossa anche collegata alla decisione di Obama di mantenere nello stesso Afghanistan anche dopo il 2016 i 5500 soldati Usa che lì sono stanziati. Insomma, Obama ci ripensa sul ritiro dall'Afghanistan, con tweet entusiastico di approvazione da parte del presidente afghano Ashraf Ghani; e Puntin subito gli offre di coprirgli le spalle. Pure ad Astana, però, Putin ha fatto le lodi dei risultati che starebbe ottenendo l'intervento russo in Siria. «Agendo dal cielo e dal mare contro gli obiettivi precedentemente concordati con i siriani, i nostri uomini hanno ottenuto risultati impressionanti. Decine di centri di comando e depositi di munizioni, centinaia di terroristi e grandi quantità di mezzi militari sono stati eliminati». Il leader russo ha ribadito nuovamente che gli attacchi di Mosca «sono totalmente in linea con le norme internazionali e sono assolutamente legittimi, perché sono realizzati in base a una richiesta ufficiale del presidente siriano Bashar al Assad». Ma ha pure aggiunto che sta «negoziando con l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l'Egitto, la Giordania e Israele per trovare un'azione comune»: confermando la linea già emersa con l'accordo tecnico di coordinamento militare tra Usa e Russia per evitare di spararsi addosso, e con il rammarico espresso da Lavrov per il fatto che gli Stati Uniti non si siano dichiarati disposti a far evolvere l'intesa fino ad un accordo politico esplicito. Paradossalmente, il drone russo che i turchi dicono di aver abbattuto e di cui Mosca nega l'esistenza in qualche modo piuttosto che sbugiardare Putin gli dà ragione, nel momento che conferma come senza coordinamento il rischio di un scontro dalle conseguenze imprevedibili è sempre in agguato. C'è poi un terzo aspetto. Ancora Tansim, che stavolta ha una fonte non anonima nel ministro della Difesa russa Igor Konashinkov quando afferma che «le forze aeree russe ora si stanno dirigendo direttamente alla principale roccaforte dell'organizzazione per colpire la città di Raqqa principale base dell'Isis». È un'offensiva collegata all'avanzata su Aleppo, su cui le truppe di Bashar Assad stanno puntando grazie al decisivo appoggio di russi, iraniani e Hezbollah. Ma Raqqa era appunto anche la direzione verso cui avrebbe dovuto puntare l'armata di 50.000 uomini che attorno ai miliziani curdi gli Stati Uniti stavano cercando di costruire, anche con il lancio via paracadute delle 50 tonnellate di armi e munizioni della scorsa domenica. Insomma, le due prospettive si fonderebbero. Direbbe in pratica Putin a Obama: «Allora, vogliamo coordinarci per attaccare assieme Raqqa da due direttrici diverse? O preferite che ci arriviamo prima noi e la prendiamo da sola?». di Maurizio Stefanini

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