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Reggio Emilia, pakistano stupra 13enne disabile: il giudice lo manda subito a casa

Andrea Tempestini
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Già libero, dopo aver violentato un minorenne disabile, trascinandolo in campagna e poi intimandogli di stare zitto. Questo perché il colpevole «ha confessato» l'orribile violenza, trincerandosi dietro la più vile delle scuse: la vittima «era consenziente». Una vicenda destinata a far discutere, anche per questo momentaneo epilogo, avvenuta nella provincia di reggio Emilia. Al termine dell'interrogatorio di garanzia il giudice per l'indagine preliminare Giovanni Ghini, vista la confessione, ha concesso una misura cautelare più blanda rispetto agli arresti domiciliari ai quali il pedofilo - 21enne pakistano richiedente asilo - era stato inizialmente sottoposto. Il giudice gli ha imposto l'obbligo di firma e il divieto di avvicinamento alla vittima, mantenendo il divieto di espatrio. L'uomo quindi è già a piede libero. Resta da capire dove andrà a vivere, visto che il connazionale che gli dava ospitalità ha deciso – alla luce di quanto accaduto – di mandarlo via. Anche la dinamica della vicenda lascia senza parole. Il ragazzino è vicino di casa del 21 pakistano. L'uomo lo ha attirato in una zona isolata e lo ha violentato. Per farla franca il pedofilo ha anche cercato di convincere il minorenne, che ha 13 anni, a non raccontare nulla ai genitori. Ma la vittima non ha taciuto, ha voluto dire tutto ai genitori, nei minimi dettagli, e poi una visita in ospedale ha confermato l'avvenuto abuso. I particolari sono raccapriccianti, così come vengono ricostruiti dalla stampa locale. «Ti avevo detto di non dire niente...». Questa la frase che l'uomo avrebbe pronunciato scagliandosi proprio contro il piccolo. Tutto questo davanti agli stessi familiari del ragazzino. Perché il padre avrebbe chiamato al telefono il presunto violentatore, che in un primo momento avrebbe negato tutto. Ma alla sera, i familiari sono corsi da lui, che abitava proprio di fianco a casa loro. Di persona e assieme al 13enne. E qui sarebbe arrivata la confessione. Poi la denuncia e l'arresto. L'episodio risale al 10 luglio ed è stato ricostruito dal Nucleo Investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Reggio Emilia, coordinato dal sostituto procuratore Maria Rita Pantani, che aveva chiesto l'arresto in carcere del pakistano, con l'accusa, pesantissima, di violenza sessuale aggravata. Il pm Pantani ha dichiarato: «Ho chiesto il carcere visto che non ha domicili idonei. L'arrestato ha ammesso le sue responsabilità dicendo che il ragazzino era consensuale». E adesso ha annunciato il ricorso al tribunale del riesame contro la decisione del gip. Il giudice Ghini invece, come accennato, non ha optato per il carcere, facendo a meno anche del braccialetto elettronico, e motivando la decisione col fatto che il luogo in cui vive l'accusato è facilmente controllabile. E che inoltre, non esisterebbe pericolo di fuga poiché avrebbe già confessato il suo reato e in quanto richiedente asilo, se facesse qualcosa di arrischiato, come il darsi alla fuga, rischierebbe il rimpatrio. Tutti motivi, quindi, per lasciarlo al momento a piede libero. La decisione però non passa inosservata. A parte il ricorso del pm Pantani, basterebbe leggere i commenti che si stanno accumulando in rete. Da espressioni di incredulità («No, dai, non ci credo», «Ho sicuramente letto male»), a giudizi più pesanti: «Uno schifo...mi vergogno di essere italiana...uno schifo pensare alla nostra giustizia». C'è anche chi si chiede cosa rischierebbe l'uomo nel suo Paese d'origine: certo non l'obbligo di firma. Sul Quotidiano Nazionale si legge, nel commento firmato da Beppe Boni, che «il pakistano della ignobile violenza di Reggio ha avuto i domiciliari presso un conoscente (misura revocata, oltretutto, n.d.r.). Espulsione? Carcere? Niente di tutto ciò. L'Italia consente a clandestini e richiedenti asilo di essere anche «non osservanti» della legge. Se il pakistano un giorno sparirà dalla circolazione non sarà una eccezione. Normale amministrazione». di Caterina Maniaci

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