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"Addio vecchio stragista rincoglionito", Facci seppellisce Riina: la verità su di lui che nessuno dice

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Giovanni Ruggiero
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In pratica è morto un vecchio galeotto stragista rincoglionito che da 24 anni era al regime carcerario del "41bis", e che, sino al 1992, era a capo dell' organizzazione "Cosa nostra" che era la mafia corleonese (cioè la mafia e basta) che a sua volta smise di esistere poco tempo dopo. Smise di esistere in quanto sconfitta dallo Stato, perché non ebbe più una struttura gerarchico-militare, perché non ci fu più una "cupola", perché i capi sono morti o in galera, e i sottoposti pure, e con loro tanti killer, estorsori, picciotti e prestanome. Smise di esistere, come Riina, perché i sequestri di armi e droga e patrimoni economici e immobiliari lasciarono il segno, perché bombe e stragi e omicidi seriali non ce ne furono più, perché la presa sul territorio si allentò progressivamente, perché i traffici internazionali sono divenuti appannaggio di organizzazioni non siciliane, perché gli "eredi" di quella mafia siciliana fanno tutt' altro mestiere e si occupano di riciclaggio, finanza, appalti, sanità, energia eolica: ma sono un' altra cosa. Non è più "Cosa nostra", così come Riina non ne era ovviamente più il capo. Questo nonostante le lagne degli orfani antimafia, quelli che ancor oggi fanno archeologia giudiziaria e si occupano di fatti accaduti 25 anni fa, gente che tenta di raccontarci un Paese eternamente in guerra, come se i problemi italiani fossero davvero "la trattativa" o il ruolo del vegliardo Totò Riina, che ora è morto anche clinicamente. Chiaro che ora, in lutto, è soprattutto l' antimafia professionista, gli archeologi che ieri hanno subito titolato «La mafia non è finita» (Francesco La Licata, La Stampa) o «Cosa nostra pronta a riorganizzarsi» (Salvo Palazzolo, Repubblica) sino al delirante sottotitolo del Fatto Quotidiano online, secondo il quale: «La morte di Riina sembra rilanciarne un' altra, di stagione: quella della ricerca della verità sulle stragi... tornare a indagare sui misteri del 1992 e 1993...». Sui quali, notare, hanno già fatto decine e decine di processi e sentenze. Ma registrare tutto il commentario esploso ieri resta impraticabile. Molte testate online, e tutti i telegiornali, hanno ritenuto di grande importanza che la Cei (i vescovi) ritenga «impensabili» dei funerali pubblici: il che da una parte è un' ovvietà, dall' altra sarebbe divertente elencare tutte le eccezioni che sono state fatte in passato. Persino i parenti dell' ex boss hanno contribuito involontariamente al delirio: Maria Concetta Riina, figlia del padrino corleonese, ha postato su Facebook una rosa nera e un volto di donna con scritto «shhh», silenzio. E se da una parte sembra assurdo che possa esserci silenzio dopo la morte di quello che, all' estero, hanno definito «il mafioso più potente del Ventesimo secolo», dall' altra ci sono agenzie di stampa anche serie, come l' Adnkronos, che hanno descritto così il «shhh», l' invito al silenzio post-mortem: «La foto sembra essere un messaggio». In attesa di scoprire che Riina è vivo e magari nascosto in Argentina assieme a Hitler e Bokassa, limitiamoci a registrare che è morto un vecchio galeotto stragista rincoglionito a cui - dato di fatto - è stato negato il cosiddetto «diritto a morire dignitosamente», il che negli ultimi mesi poteva significare metterlo agli arresti domiliciari: che sono sempre arresti. Gli è stato negato più per questioni di principio che per una oggettiva pericolosità: Riina negli ultimi mesi stava malissimo, era a letto, non ci stava con la testa - da tempo - e anche nei suoi colloqui intercettati aveva solo uscite paternalistiche, roba che molti, tuttavia, si preoccupavano di sovra-interpretare. Era sempre solo, anche perché nessuno voleva condividere la cella con lui: troppi controlli e cimici, essendo lui ipersorvegliato. Intanto, però, comicamente, la Direzione antimafia continuava a considerarlo il capo di una fantasmatica "Cosa Nostra" che potesse riorganizzarsi, che sarebbe come dirlo di Renato Curcio rispetto alle Brigate Rosse. A Palermo la procura di Francesco Lo Voi ha ormai arrestato anche la più residuale soldataglia (chiamarla mafia pare troppo) mentre i pochi membri di Cosa Nostra tornati in libertà vivono da eremiti o buttano becchime ai piccioni. Ma, tornando alle condizioni di salute di Riina, va detto che sino a poco tempo fa erano considerate «compatibili con il carcere» dal Tribunale di sorveglianza di Bologna, mentre la Cassazione invitava piuttosto a valutare «il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico». Insomma, la Suprema Corte suggeriva di riflettere sulla pericolosità di un uomo che non parlava più e che non riusciva a comandare neppure il suo intestino. Ma questa è la linea dello Stato con certi mafiosi non pentiti, praticamente una legislazione a parte rispetto a qualsiasi codice occidentale. Non fu diverso, del resto, per Bernardo Provenzano: la stessa Cassazione riconobbe che fosse affetto da patologie «plurime e gravi di tipo invalidante», ma il boss rimase al 41bis lo stesso, sino alla morte nel luglio dell' anno scorso. Un discorso che invece non vale per chi si pente: Giovanni Brusca trucidò 40 persone, partecipò a sei stragi, sciolse un 13enne nell' acido, ma nel 1996 si "pentì" e gli furono concessi dei permessi premio per poter uscire dal carcere ogni 45 giorni. Carmine Schiavone, amministratore dei Corleonesi, fu 70 volte assassino, mandante di 500 assassinii, estorsore, schiavista di prostitute, seppellitore di rifiuti tossici, avvelenatore di falde acquifere eccetera: ma si pentì, ed è stato scarcerato nel 2013 (10 anni anziché 8 ergastoli) e ha imperversato su giornali e talkshow sino alla sua morte, due anni fa. Comunque: un tempo, quando i giornali erano i giornali, si preparava con ampio anticipo il cosiddetto coccodrillo per i personaggi che potevamo morire da un momento all' altro, così da non essere colti alla sprovvista. Nonostante tutto, il coccodrillo di Totà Riina era pronto dal 1993, quando lo catturarono. Smise di vivere allora, per fortuna. Il resto sono fantasie da mafiologi. di Filippo Facci

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