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Per rifarsi la verginità il Pd vota l'arresto di Lusi

Alvise Losi
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  L'unica scelta che ha potuto fare Luigi Lusi è stata scegliersi una cella meno peggio di quella che gli avevano preparato i magistrati della procura di Roma. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere prevedeva il trasferimento a Regina Coeli, il vecchio carcere della capitale il cui scalino secondo la mala deve salire almeno  una volta nella vita un vero romano. Lusi è abruzzese, e si è presentato ieri sera nel carcere di Rebibbia, dove poche ore prima l'avevano consegnato i suoi ex amici della Margherita e del Pd. Secondo copione, pur convinti dentro di sé e in molti casi perfino manifestando pubblicamente la convinzione di un arresto spropositato, nessuno ha avuto il coraggio di dire un no ai magistrati che avrebbe esacerbato l'opinione pubblica. Facili profeti  Eravamo stati facili profeti ogni volta che scrivemmo del caso Lusi: l'ex tesoriere della Margherita sarebbe finito in galera, perché nessuno si sarebbe preso la responsabilità di una soluzione diversa. Non ha avuto quel coraggio nemmeno il Pdl, che ieri ha scelto la soluzione più pilatesca. Garantista da sempre, non ha voluto esserlo in un caso diverso dagli altri perché l'opinione pubblica aveva già emesso il suo verdetto senza tentennamenti. Avrebbe potuto dire no all'arresto, come ha fatto Marcello Pera, rivendicando l'inutilità di una carcerazione preventiva quando non vi era più possibilità di ripetere il reato, inquinare le prove e fuggire all'estero. O al contrario avrebbe potuto percuotersi il petto, dirsi colpevole di non avere varato una riforma della giustizia che consentisse a tutti i cittadini di evitare quella carcerazione preventiva quando in gioco non ci sono reati di pericolosità sociale o fatti di sangue. E quindi votare sì all'arresto, perché finchè la legge non è uguale per tutti non ci può essere qualcuno più uguale degli altri. Entrambe le scelte avrebbero avuto una dignità, non l'ha avuta l'idea di uscire dall'aula al momento del voto per non decidere nulla. È proprio la linea che da un anno a questa parte sta uccidendo quel partito. Rutelli non vota Il Pd e gli ex della Margherita (Francesco Rutelli non ha partecipato al voto, Enzo Bianco con molto minore stile lo ha fatto) hanno consegnato temporaneamente alle patrie galere Lusi. Ma non è con la porta del carcere di Rebibbia chiusa alle spalle dell'ex segretario amministrativa che finirà lo scandalo della Margherita. Ieri il senatore dell'Idv Luigi Li Gotti, che pure ha votato per l'arresto, ha aperto la pagina del nuovo libro che resta da scrivere: quello della incredibile lettera inviata il 9 febbraio scorso ai magistrati che si occupavano del caso Lusi da Rutelli e Bianco, intimando loro il percorso da seguire e invocando guarentigie giudiziarie che un partito non ha in quanto tale. Li Gotti ha detto di più, citando quello che ha ribattezzato come “fumus benevolentiae” di quei magistrati romani nei confronti di chi aveva loro scritto quella lettera dai toni irrituali.  Peso politico Non sappiamo quanto ci sia di rilevanza penale nella gestione dei fondi della ex Margherita che Lusi non ha utilizzato per vantaggi patrimoniali personali o familiari. Ma il peso politico di quella gestione c'è. E non è solo interno alle varie correnti del Pd che si sono fatte una guerra sanguinaria con i fondi garantiti in gran segreto da Lusi. Erano rimborsi pubblici, soldi degli italiani. A questo punto deve diventare pubblica tutta la contabilità di questi anni. Anche quella che riguarda altri leader del partito che rivendicano un uso politico e legittimo di quei fondi che non erano loro. Fuori le note spese, le ricevute della carta di credito e i rimborsi di Bianco, Rutelli, Fioroni, Bindi, Renzi, Franceschini e di tutti quelli che hanno attinto direttamente o indirettamente a quel pozzo di San Patrizio. Per quanto sarà possibile come giornalisti da oggi stesso daremo la caccia a tutta la documentazione che possa essere utile a questa grande operazione di trasparenza e verità. Lusi è in carcere, non c'è più tema di inquinamento delle prove. A questa opera di verità che è dovuta ai contribuenti italiani che si sono svenati loro malgrado in questi anni anche per la Margherita perfino dopo che era defunta, possono dare una mano i magistrati senza altre preoccupazioni. Potrebbero essere protagonisti tutti gli altri leader della Margherita che fin qui si sono coperti dietro mille scuse e mille scudi. Il capro espiatorio è stato sacrificato al suo destino. Ora tocca a loro. di Franco Bechis  

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