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Tremonti: Il nuovo centrodestra nascerà contro l'Europa

Lucia Esposito
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C'è da far rinascere il centrodestra», dice Giulio Tremonti mentre fuma la pipa nel suo studio milanese. Una partita in cui l'ex ministro sembra rivendicare un ruolo. Inutile chiedergli di Berlusconi o di un'ipotetica candidatura alle prossime Europee: non risponde, si concentra sui temi del suo libro, Bugie e verità (Mondadori, 286 pagine, 18 euro), di cui i lettori di Libero hanno letto uno stralcio. Onorevole, abbiamo fatto male a entrare nell'euro? «L'euro inizia in un laboratorio goethiano. Ricorderà nel Faust la cambiale di Mefistofele e la profezia sui “biglietti alati” che avrebbero volato più in alto della fantasia umana. Alto no so, di sicuro hanno volato lontano. Dopo la crisi finanziaria mondiale che ha inizio con la globalizzazione, l'origine della crisi in Europa ha in più un fattore specifico: è un problema di euforia incontrollata». Può spiegare? «Chi ha finanziato con l'euforica magia dell'euro le Olimpiadi, le piscine, le Mercedes in Grecia? Le banche tedesche e francesi, con lauti profitti. Chi ha finanziato le colossali operazioni immobiliari in Spagna? I mutui delle banche spagnole fiancheggiate da quelle tedesche, francesi e olandesi. Chi ha fatto diventare l'Irlanda una portaerei per grandissime banche offshore? Le banche stesse. Euforia e mancanza di controllo. La Bce non aveva certo il potere di vigilare sulle singole banche, ma aveva il dovere di vigilare sulla stabilità sistemica della moneta: su questo si è manifestata assente. La crisi non è arrivata dai bilanci pubblici, ma da dietro, dal sistema bancario, trasferendosi poi al debito sovrano. La grande svolta arriva nel 2010 e si manifesta su due principi di “altissima finanza”… Primo: se fallisce il debitore, fallisce anche il creditore. Secondo: c'è un cosiddetto rischio di controparte, che risale dal debitore al creditore anche oltre frontiera. In quegli anni, su centinaia di miliardi di euro, la percentuale di rischio delle banche tedesche è del 42%, di quelle francesi del 32%. Quelle italiane erano al 5%. Il sistema bancario e finanziario del Nord, che negli anni d'oro aveva privatizzato i profitti, con la crisi pensa sia il caso di europeizzare le perdite. I fondi salva-Stati diventano fondi salva-banche, e per rendere possibile questo è caduto il nostro governo». In che modo? «Nel 2008 l'Italia propone un fondo salva-Stati. Eravamo disposti a finanziarlo non in base al rischio (cioè al 5%) ma in base al Pil, al 18%. Chiedevamo in cambio un meccanismo di solidarietà serio: gli eurobond. Ma non eravamo disposti a concorrere al 18% solo a favore delle banche straniere. Questa opposizione è stata la causa del colpo di stato dolce, arrivato con il “pizzino” della Bce il 5 agosto 2011 e completato con l'instaurazione del governo Monti senza passare dal voto. Guardi cosa accade ora che la Bce ipotizza l'acquisto di bond: sembra dare ossigeno. Immagini un ricatto contrario e capirà cos'è successo in quei giorni. E quale fu il primo atto dell'esecutivo Monti? L'Italia sottoscrive il fondo salva-Stati al 18% senza contropartite. I tedeschi non avrebbero mai fatto lo stesso». Fu un errore allora fare le manovre estive e poi sostenere quel governo, per il Pdl? «Nelle considerazioni finali di Bankitalia del 31 maggio 2011 si lodava la tenuta dei conti italiani. Lo stesso Monti ancora a luglio lodava la mia Finanziaria. Poco dopo, il disastro? Un grande Stato non va a catafascio in pochi giorni. Per dare questa impressione è stato sufficiente girare la manopola dello spread. Quanto al sostegno a Monti, non ho mai votato un solo atto di quel governo: lo chieda ad altri. Vedo che oggi si esulta per essere tornati ai livelli di Borsa e di spread del 2011. Ma è un successo tornare a quei livelli o fu una disgrazia perderli senza motivo, anzi eseguendo un'operazione di criminalità economica?». È vero che lei, in opposizione a un premier che cercava la sponda Bce, preferiva l'appoggio del Fmi? «Totalmente falso. Invito alla lettura del libro di Zapatero su quelle settimane: spiega che Berlusconi ed io escludevamo l'intervento del Fondo». Lei avanza numerose proposte politiche: ma come conta di realizzarle? «Lo scopo del libro è avanzare idee. C'è da far rinascere il centrodestra, ma a tutta la politica è chiesto di capire cosa sia successo in questi 20 anni. Nel '94 non c'erano la Cina, il web, l'euro, c'erano 500 miliardi di masse finanziarie e oggi sono 100 trilioni. La soluzione non è stampare moneta ma regole a tutela dell'economia reale e della libertà. Servono una banca nazionale di credito per l'economia sul modello tedesco, il tfr in busta paga, una forte protezione della nostra produzione, togliere l'Imu prima casa…». Bisognerebbe tornare al governo… «Siedo al Senato, da lì faccio politica. Ho appena finito una proposta di modifica costituzionale per rimuovere dalla Carta i vincoli europei così come previsti all'art. 117. È inutile andare in Europa a chiedere di cambiare i vincoli quando i primi ad essersi auto vincolati siamo noi stessi». Cioè? «Un conto è impedire di fare debito nuovo col pareggio di bilancio, un altro è accettare il vincolo a ridurre forzosamente e follemente il debito storico auto-imponendosi il fiscal compact, che va tolto. Questi temi sono fondativi del centrodestra che immagino, ma non escludo possano incontrare un terreno bipartisan». Gli unici che prendono di petto il tema dell'euro sono la Lega e, in misura più confusa, Grillo. Lei è scettico sull'uscita dalla moneta. Ma allora qual è il vettore politico? «A parte certi radicalismi, Lega e Grillo sono contro l'euro ma a queste condizioni. Chiedono di cambiarle. Faccio un esempio: l'euro è una moneta con cambio passivo, deciso da Usa e Cina, che hanno interesse a tenere alto il cambio. Questo va bene alla Germania, che importa con moneta forte ed esporta prodotti forti che tutti vogliono a prescindere dal cambio. Per noi è l'opposto. Un cambio forte imposto a un'economia debole rischia di farci fare la fine del Sud con il Piemonte». Di Eurobond, supereuro e squilibri dell'eurozona si parla da anni. Perché ora si dovrebbero vincere le resistenze politiche? «Il livello della crisi spingerà verso ipotesi di rottura, e aumenterà la forza di argomentazioni come quelle che propongo. Finché le cose sembrano normali, è più difficile realizzare cambiamenti». Che idea si è fatto delle rivendicazioni dell'indipendentismo veneto, sfociate nell'inchiesta sul Tanko-bis? «Non commento fatti specifici. Ho l'impressione che lo Stato rischi di fare l'unica cosa che non può permettersi: passare dalla parte del ridicolo». Cosa pensa di questi due mesi di governo Renzi? «Sta giocando tutto sul tempo. La riforma del lavoro, essendo una reverse engineering della Fornero, approvata e ora smontata dagli stessi partiti, va bene. Così come la riforma costituzionale, che riprende la nostra del 2006: quella contro cui votò la sinistra. Restano criticità sulla creazione di nuovi blocchi amministrativi, dalle città metropolitane alle “aree vaste”: non si intacca il vero costo degli enti locali, che non è di funzionamento ma va misurato su quanto bloccano, con la burocrazia, l'economia. E nutro dubbi sulla composizione del Senato: per come è proposto, meglio eliminarlo. Non mi convince la nuova legge elettorale per come è stata approvata fin qui». Martino Cervo

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