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Job Act, tutte le critiche al decreto

Lucia Esposito
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Come previsto, nessun problema alla Camera per il decreto lavoro che porta il nome del ministro Giuliano Poletti. La fiducia è passata con 344 sì, che non sono i 378 voti a favore della prima verifica ottenuta dal governo Renzi al momento dell'insediamento, ma rappresentano comunque il risultato più ampio per un decreto, visto che sul Salva Roma e sulle Missioni i sì per l'esecutivo si sono fermati a quota 325. Poco più di 180 i no (184) e nessun astenuto sebbene le assenze nell'emiciclo di Montecitorio siano state tante e variamente distribuite tra maggioranza e opposizione. Di sicuro, ieri, mancavano all'appello parecchi deputati di Forza Italia, 15% in meno anche tra i banchi del Movimento Cinquestelle (16 su 104), 26% di non pervenuti tra i centristi di Per l'Italia, qualche defezione anche in Scelta civica. Ma spulciando i tabulati della Camera, spicca senz'altro la presenza massiccia del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano: 27 deputati presenti su un totale di 28. Proprio il partito che, fino a ieri, ha attaccato in maniera più decisa il testo del decreto uscito dalla commissione Lavoro di Montecitorio. «Invotabile perché stravolto dalle modifiche apportate dall'ala cigillina del Pd», avevano lamentato gli alfaniani, però senza mai minacciare di fare mancare la fiducia all'esecutivo del quale loro stessi fanno parte. E dunque, ok alla fiducia, come da annuncio della vigilia, con il fermo proposito, però, di ritornare al testo originario con la discussione in Senato, dove gli equilibri per la maggioranza sono più precari, e lo stesso ministro Poletti ha lasciato intendere che alcune correzioni sono possibili. Voto compatto per Ncd, con il solo banco vuoto del collega Maurizio Bernardo, assente giustificato. Insomma, nessun colpo di scena, ma anzi l'intenzione di fare capire che il governo Renzi non corre pericoli. Non fosse chiaro il concetto, è stato Alfano stesso a ribadire: «Pieno sostegno a un esecutivo che sta vivendo una grande luna di miele con il Paese», ha detto, «stiamo lavorando per il cambiamento, vogliamo accelerarlo, il che significa mettersi dalla parte dell'Italia e degli italiani». Dunque, la road map delle riforme dettata da Palazzo Chigi non deve subire rallentamenti, anche se nei desiderata di Ncd e di Scelta Civica c'è comunque l'intento di non lasciare passare così il decreto. Un testo che dovrà essere convertito in legge entro il 20 maggio, praticamente a ridosso delle elezioni, e che ora, per il popolo dei moderati, è troppo sbilanciato a sinistra: un regalo alla Cgil e un danno incalcolabile per le imprese. Anziché sveltire la burocrazia e favorire l'occupazione, si prevedono infatti sanzioni punitive per le aziende che sforano il tetto del 20% dei contratti a termine, sono possibili 5 proroghe (e non 8) nell'arco di un triennio, vi è l'obbligo della formazione pubblica per l'apprendistato e il monte ore deve essere almeno di 35 ore. E chi sgarra qualcosa paga con l'obbligo di assunzione dell'apprendista a tempo indeterminato. La replica del Pd, per bocca del principale attore in commissione Lavoro, quel Cesare Damiano proveniente dal sindacato rosso, è che le modifiche sono state condivise da tutto il Pd, ragion per cui non si toccano più. Ma oltre a Ncd, anche Sc spera nel Senato. «Siamo stati costretti a esprimere la fiducia», ha detto il capogruppo Andrea Romano, «ma nel testo manca la tutela dei contratti a tempo indeterminato e si dovrebbe rendere più facile garantire occupazione a chi la cerca». Per Romano, inoltre, «è un'ottima notizia Pietro Ichino relatore del dl a Palazzo Madama». Scintille tra Lega e Ncd con il capogruppo del Carroccio, Massimiliano Fedriga, che ha accusato gli alfaniani di esserse «servi della Cgil per tenersi le poltrone. Mi sa che Ncd sta per “nuovi clandestini dentro”», ha attaccato il leghista, «perché, dopo essersi venduto alla sinistra sull'immigrazione, ora il partito di Alfano si fa guidare dalla Cgil sul lavoro». Un'accusa a cui Sergio Pizzolante ha replicato secco: «In commissione Lavoro Fedriga non si è mai visto e i suoi sostituti hanno fatto scena muta».  I grillini hanno protestato a modo loro, con un codice a barre incollato sulla fronte e sulla bocca a testimoniare «che i lavoratori sono trattati come merce». Picco della protesta, la dichiarazione di voto (contrario alla fiducia ovviamente) fatta dal deputato-cittadino Marco Baldassarre il quale, citando il personaggio Cetto La Qualunque inventato da Antonio Albanese, si è rivolto a Renzi. «Presidente, cosa farà per i lavoratori? Spessatamente, indubbiamente e qualunquemente una beneamata minchia». Oggi il voto finale sul decreto lavoro. Poi la palla passerà al Senato. Brunella Bolloli   

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