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Statali e fannulloni, il ministro Madia fa la Thatcher ma non ha gli attributi

Giulio Bucchi
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Per allietare l'inizio del 2015 Marianna Madia ha indossato il più inaspettato dei travestimenti. Lei, madonnina protettrice dei dipendenti statali, per un giorno è voluta apparire come la versione casareccia della Iron Lady. La Margaret Thatcher originale aveva i minatori britannici di Arthur Scargill, la Margaret Thatcher con le cotiche, più modestamente, se l'è presa con i pizzardoni guidati da tale Giovanni Torluccio e altri rispettabili sindacalisti del comparto enti locali. A conferma di quanto abbia a cuore la vicenda, la ministra ieri le ha dedicato ben due cinguettii. Tweet numero uno: «Ispettorato ministero Funzione Pubblica subito attivato per accertamenti violazioni e sollecito azioni disciplinari». Due: «Avanti con riforma P.A. per premiare eccellenze che ci sono e punire gli irresponsabili». Il secondo tweet le serviva a fare quello che le riesce meglio: allinearsi al Renzi-pensiero, operazione necessaria perché la linea del capo è che per licenziare parassiti e lavativi bisogna prima riformare la pubblica amministrazione. Il che, in realtà, non è affatto vero. L'ex ministro Renato Brunetta ha subito detto a Renzi e alla Madia che «le leggi per combattere fannulloni e assenteisti nel pubblico impiego ci sono già e sono quelle che portano il mio nome». Non ci fidiamo di Brunetta? Fidiamoci dei sindacalisti. Vedesi Annamaria Furlan, leader della Cisl: «Brunetta aveva inasprito le leggi sui licenziamenti dei dipendenti pubblici, che già oggi possono essere licenziati come quelli privati». E allora, visto che le cose stanno così, perché la Madia e Renzi sostengono che per passare all'azione servono nuove norme? Qui finisce la storia dei thatcheriani de noantri e ricomincia quella di un governo che parla parla, annuncia una rivoluzione dopo l'altra, ma la volontà politica di cambiare l'andazzo dei dipendenti statali non ce l'ha. Lo si è visto nei giorni scorsi, quando in ballo c'era la madre di tutte le questioni: l'estensione al pubblico impiego di quel Jobs Act che, tra le altre cose, modifica l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, rendendo più facili, almeno per i neoassunti, i licenziamenti per ragioni economiche. Il professor Pietro Ichino, che della riforma è stato ispiratore e coautore, ha svelato che nel consiglio dei ministri notturno del 24 dicembre il comma che escludeva i dipendenti delle amministrazioni pubbliche dalle novità era stato cancellato, anche in seguito alle sue proteste. Nel testo definitivo infatti non appare, dunque la riforma è valida pure per il pubblico impiego. «Alla seduta partecipano anche Giuliano Poletti e Marianna Madia. E non risulta che su questo punto si siano espressi in senso contrario», racconta Ichino. Pur con qualche incertezza, l'interpretazione liberista del Jobs Act sopravvive al Natale. Ma dopo Santo Stefano i sindacati iniziano ad alzare la voce, Susanna Camusso promette sfracelli e così il 28 dicembre la Madia, istruita da Renzi, annuncia il rientro nei ranghi dell'ortodossia statalista: «La volontà politica del governo è quella di non includere nelle nuove regole i lavoratori pubblici». Ichino? Un bugiardo: «Che il comma c'era lo dice lui». La cosa più bella è la spiegazione che la Madia sfodera per difendere l'indifendibile differenza di trattamento tra dipendenti statali e privati: «Il Jobs Act non si applica al pubblico impiego perché questi lavoratori vengono assunti per concorso». Come ha scritto l'imprenditore Edoardo Narduzzi su MF, «se queste parole le avesse pronunciate un sindacalista di professione non ci sarebbe stato nulla di cui stupirsi, tranne la falsità del contenuto». Invece a pronunciarle è il ministro. Il quale non solo giudica la selezione nel pubblico impiego più severa di quella operata dai privati (a giudicare dai risultati è assai più probabile il contrario), ma ritiene che questo basti a collocare per sempre gli statali su un pianeta a parte. La recessione potrà durare decenni, le finanze pubbliche potranno crollare, la fornitura di certi servizi potrà richiedere molta meno manodopera (in teoria la digitalizzazione a questo dovrebbe servire), ma i travet dovranno restare tutti lì dove sono, sino alla pensione. Questo spiega perché la sceneggiata thatcheriana della Madia sia risultata credibile come una fetta di porchetta kosher. I pizzardoni capitolini l'hanno sgamata al volo: anziché spaventarsi, hanno annunciato il primo sciopero della loro storia. di Fausto Carioti

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