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Campidoglio, a Roma il centrodestra rischia di sbagliare un rigore

Matteo Legnani
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Conquistare almeno due città tra Milano, Roma e Napoli per troncare sul nascere il possibile ventennio renziano e dimostrare che il centrodestra italiano esiste ancora e può puntare al governo del Paese. Fattibile: le divisioni a sinistra sono tante, le ferite inferte dalla nomenclatura del Pd agli ideali degli elettori profonde e nella Capitale, la piazza più importante, secondo tutti i sondaggi il candidato sindaco del Partito democratico in questo momento non arriverebbe nemmeno al ballottaggio. Condizione necessaria richiesta a Forza Italia, Lega e Fratelli d' Italia per essere competitivi è presentarsi uniti. Da questo punto di vista la partenza della campagna elettorale non poteva essere peggiore. Silvio Berlusconi, l' unico in grado di portare unità e ordine, ha creato subito nuova entropia. L' uscita con cui ieri ha bocciato le aspirazioni di Giorgia Meloni a correre per sindaco di Roma alla guida della coalizione è da manuale dell' harakiri politico. Che il candidato nel cuore di Berlusconi fosse Marchini e non la leader di Fdi lo sapeva tutta Roma, oltre ai due diretti interessati. Ma annunciare al quotidiano più ostile al centrodestra (Repubblica) che la scelta era già stata presa («il nostro candidato a Roma sarà Alfio Marchini») senza concordare tempi e condizioni con la Meloni, e farlo con la motivazione (falsa) che «Giorgia punta alla Regione», è un errore che il Berlusconi d' antan non avrebbe mai commesso, pur avendo una capacità di persuasione molto più forte di quella di oggi. Anche la risposta della Meloni è una di quelle che il Berlusconi di allora non avrebbe mai ricevuto: «Noi di Fdi non siamo in alcun modo disponibili a sostenere a Roma la candidatura di Marchini». Quello che la Meloni non dice è che, ulteriormente motivata dallo sgarbo subito, sta decidendo di candidarsi a sindaco della Capitale, sfidando Marchini. All' equazione bisogna aggiungere la Lega, ovvero la lista Noi con Salvini, che dentro al Raccordo anulare, secondo il sondaggio fatto da Demos per la trasmissione "Otto e mezzo", vale 4 punti: quanto basta per fare la differenza, nella ottimistica ipotesi che si crei davvero una coalizione di centrodestra, per il passaggio al ballottaggio. E se la Meloni corre per conto proprio, è molto più probabile che Salvini si schieri con lei piuttosto che con Marchini. In ogni caso la presenza di due candidati basterebbe a condannare il centrodestra al terzo posto, dietro al candidato a Cinque Stelle e a quello del Pd: niente ballottaggio e occasione clamorosa gettata al vento per il fronte moderato-conservatore. Tirando le somme, Berlusconi non ha capito una cosa molto importante. Ovvero che in questi anni nel centrodestra, ma fuori da Forza Italia, è cresciuta una classe politica che non gli riconosce quel ruolo egemone che lui invece è tuttora convinto di avere. Quello che a Berlusconi pare un sacrilegio è confermato dai sondaggi, che in molti casi danno la Lega davanti a Forza Italia e ormai fotografano Fdi stabilmente sopra al 3%, cioè oltre la soglia di sbarramento prevista dalla nuova legge elettorale nazionale. Finché l' ex premier non metabolizzerà che i rapporti di forza sono cambiati, e che non può trattare gli alleati come faceva un tempo, continuerà a commettere guai come quello di ieri. Però Berlusconi, a sua volta, ha capito una cosa fondamentale, che Salvini e Meloni faticano a realizzare: per vincere, almeno a livello di elezioni comunali, bisogna candidare a sindaco personaggi con un profilo "civico". Cioè un imprenditore, un prefetto o un altro tipo di civil servant, in ogni caso una figura fuori dal giro dei partiti. Cioè, nel caso del centrodestra, fuori da Forza Italia, ma anche fuori dalla Lega e da Fdi. Perché - piaccia o meno - nella quasi totalità dei casi, messi dinanzi alla scelta tra un politico e un non politico, gli elettori scelgono il secondo. Magari non lo conoscono a fondo, ma in compenso conoscono bene il politico e i suoi compagni di partito, e quello che sanno basta a far mettere la croce sull' altro candidato. Per essere chiari: a Roma, al ballottaggio contro un grillino, avrebbe molte più chance di spuntarla il "civico" Marchini che non la Meloni o qualunque altro politico. Renzi questo lo ha capito benissimo. Infatti sta preparando una squadra di candidati il cui trait d' union è la non appartenenza alla classe politica. A Milano punta su Giuseppe Sala, il manager che Enrico Letta nominò commissario unico di Expo (e pazienza per il povero Emanuele Fiano). A Roma spera di candidare uno tra Raffaele Cantone, Alfonso Sabella o Franco Gabrielli: due magistrati e un prefetto. A Napoli, per mettere la parola fine all' eterno ritorno di Antonio Bassolino, il premier sta cercando di convincere Mario Orfeo, ex direttore del Mattino e attuale direttore del Tg1, a correre per il Pd. Il centrodestra, insomma, rischia di avere due candidati a Roma e di trovarsi un avversario forte come Sala a Milano. Le uniche buone notizie giungono da chi, come Ignazio Marino e Luigi De Magistris, sta sfasciando il fronte della sinistra. Ma per arrivare ai ballottaggi e vincerli ci vorrà molto di più. Volti indipendenti dai partiti, ma condivisi da Forza Italia, Lega e Fratelli d' Italia: chimere, al momento. di Fausto Carioti

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