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Berlusconi, parlamentari di Pdl e Lega ord pronti a dimettersi dopo la decadenza

Giulio Bucchi
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Ora il governo Letta trema davvero. I parlamentari del Pdl riuniti nella sala della Regina di Montecitorio hanno risposto con una acclamazione, davanti a Silvio Berlusconi appena giunto, alla domanda dei presidenti dei gruppi di Camera e Senato Renato Brunetta e Renato Schifani se vi fosse la disponibilità a rassegnare le proprie dimissioni ai capigruppo un momento dopo la pronuncia della Giunta delle elezioni del Senato sulla decadenza del Cavaliere. E secondo fonti vicine al Pdl-Forza Italia, anche i parlamentari della Lega Nord sarebbero disposti a dimettersi per solidarietà con l'ex premier. Nessuna sorpresa, dunque, rispetto alle indiscrezioni del tardo pomeriggio. "Siamo un partito che non ha intenzione e che non farà l'errore dei partiti della Prima Repubblica, perché questo partito non si dividerà, è unito e resterà tale - ha spiegato il segretario Angelino Alfano -. Perché è stretto intorno al suo leader, al quale è legato dall'affetto, dalla stima e dalla forza degli ideali   comuni". Data per acquisita questa disponibilità a dimettersi, la riunione dovrà ora mettere a punto alcuni passaggi formali ma per grandi linee si prevede che nei prossimi giorni ogni singolo deputato e senatore firmerà una lettera di dimissioni che consegnerà al proprio capogruppo il quale poi provvederà a formalizzare queste dimissioni "collettive" nelle rispettive assemblee dopo la decisione, che si presume negativa, della camera di consiglio della giunta del Senato. L'indiscrezione del pomeriggio - Lo scenario delle dimissioni era stato raccontato da un deputato "falco" del Pdl a La Zanzara su Radio24: "Stavolta è impossibile una retromarcia, che poi queste dimissioni verranno consegnate domani o un altro giorno poco cambia". "Alla presenza di Berlusconi - diceva ancora il deputato - i capigruppo proporranno le dimissioni e noi diremo sì". "Si va nella direzione che ho sempre suggerito", confermava sempre alla Zanzara l'ex ministro Gianfranco Rotondi. C'era chi addirittura avanzava l'ipotesi che i parlamentari Pdl si dimettessero tutti in blocco in serata, chiedendo contestualmente lo scioglimento delle Camere. A questo proposito, i "falchi" del partito insistevano sulla linea dura, ma le "colombe" hanno frenato. Lo strappo istituzionale a metà ottobre, quando si voterà sulla decadenza era un'ipotesi già prospettata a suo tempo da Libero e metterebbe in gravissima difficoltà il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: di fronte alla fuoriuscita degli onorevoli azzurri, infatti, il Quirinale non potrebbe sottrarsi alla responsabilità di sciogliere le camere e indire il ritorno alle urne.  Il dilemma di Letta (e del Cav) - "Mi fanno fuori, mi eliminano dalla scena e dovremmo pure stare zitti e votare tutto quello che il governo ci propina?", sarebbe stato lo sfogo di Berlusconi nel pomeriggio. A meno di un ripensamento in nome della stabilità (e per questo potrebbe decidere di respingere le dimissioni dei suoi parlamentari), il Cav uscirebbe così dall'impasse di quello che nel centrodestra considerano il "ricatto" del Colle: se cade Letta, non è detto che la legislatura finisca. Viceversa, è chiaro che senza un terzo dei parlamentari (che verrebbero comunque sostituiti dai non eletti) il discorso sarebbe diverso. In attesa dell'ufficialità, la palla passa al premier Enrico Letta. Il suo dilemma: tenere duro, sperando nella moral suasion di Napolitano, nella difficile congiuntura economica e nell'esigenza di stabilità, oppure mollare il colpo lui per primo, precedendo il Pdl e dimettendosi prima del voto sulla decadenza di Berlusconi? Saccomanni: Il governo non cade - Non crede alla crisi di governo il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni: "Il governo non può cadere, sono fiducioso che alla fine prevarrà il senso di responsabilità, come affermato da tutti i partiti della coalizione. Credo che nessun partito abbia un interesse vero a interrompere il percorso di risanamento dei conti pubblici e rilancio dell'economia che è in corso". Il segretario del Pd Guglielmo Epifani va giù duro: "Le decisioni e i toni incredibili usati oggi dal Pdl sono l'ennesima prova di irresponsabilità nei confronti del Paese". Secca la replica di Brunetta e Schifani: "In questo momento grave per la democrazia in Italia, Epifani insiste con provocazioni inqualificabili. Il suo partito vuole decapitare Forza Italia del suo leader e pretendere che noi accettiamo questa ferita alla democrazia senza reagire?". Braccio di ferro col Pd - E i temi economici, in particolare quelli fiscali, continuano a dividere Pd e Pdl, distanti su Imu e Iva. Le divergenze sulle prossime mosse del governo restano, a cominciare dalle misure sul tavolo del Consiglio dei ministri di venerdì, quando si dovrà varare un decreto con cui riaggiustare i conti pubblici per restare sotto la soglia del 3% deficiit-Pil richiesta da Bruxelles. Al miliardo e 600 milioni necessari per il riequilibrio dei conti, dovrebbe aggiungersi il miliardo che serve a rinviare l'aumento dell'Iva e 500 milioni per rifinanziare le missioni militari all'estero. Il Pdl insiste a chiedere che sia cancellata definitivamente l'Imu, che sia congelato l'aumento dell'Iva e che siano ridotte delle tasse per imprese e lavoratori. il Pd non ci sta e con Matteo Colannino fa sapere: "Se non ci sono coperture possiamo anche ripescare la seconda rata dell'Imu". Benzina sul fuoco che rischia di bruciare Letta.   di Claudio Brigliadori

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