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Renzi, la resa finale: si cancella pur di allearsi con Pisapia. E occhio alla manina di Prodi

Giulio Bucchi
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È proprio vero che certi amori, citando Antonello Venditti, «fanno giri immensi e poi ritornano». Trattandosi di Giuliano Pisapia e della liaison con il Pd occorre aggiungere una postilla: esattamente al punto di partenza. Certo, è stato necessario l' eterno ritorno in campo di Romano Prodi, il sensale dei matrimoni della sinistra, per sancire quello che era già chiaro sin dall' inizio, ovvero l' alleanza elettorale fra il Campo democratico dell' ex sindaco di Milano, il partito guidato da Matteo Renzi e tutti coloro che ci vorranno stare. «La coalizione di centrosinistra alla quale stiamo lavorando, con il generoso contributo di tutti», spiega l' ex premier, «dovrà garantire eguale dignità a tutti i componenti. Penso di poter dire che avremo una coalizione di qualità, con presenze significative sia alla nostra sinistra che al centro e che saremo competitivi praticamente in tutti i collegi». In fondo la politica, da sempre, ha bisogno delle sue liturgie quando mancano le strategie. Leopolda docet. E così il sabato del villaggio del centrosinistra allestito a Milano, dedicato al candidato Giorgio Gori, ha portato in dote ai dem un' apertura di credito che Renzi deve solo mettere all' incasso, al semplice costo di qualche modifica nella legge di Bilancio. Un prezzo accettabile, visti i risultati ottenuti dal mediatore Piero Fassino. «Questa mattina (ieri, ndr) mi ha chiamato il professore Prodi», spiega Pisapia, «per dirmi di andare avanti nel tentativo di unire il centrosinistra. Lo dico perché mi ha autorizzato a dirlo». Un classico italiano, parlare a nuora perché suocera intenda. «Siamo in un momento difficile, un momento di divisioni», ha sottolineato l' ex primo cittadino del capoluogo lombardo, «e voglio fare ancora un appello a Mdp e a tutte le forze moderate e progressiste di ritornare a stare insieme». Ovviamente ad ogni offerta deve corrispondere un congruo compenso. E Pisapia, sotto questo punto di vista, sembra avere le idee chiare. Anche perché il «professore» deve avergli impartito una dotta lezione in materia di leggi finanziarie, sapendo che avrebbe incontrato Piero Fassino. «Abbiamo fatto delle richieste pubblicamente, la prossima o forse già questa settimana, inizierà un percorso comune programmatico ma non solo», spiega Pisapia parlando dell' incontro con l' esponente dem, «il nuovo centrosinistra e la possibilità di cambiare il Paese parte già dalla legge finanziaria, già lì bisogna dare un segnale forte di un cambio di rotta». Il problema è stabilire se il presidente del Consiglio in carica, Paolo Gentiloni, è della stessa idea e se avrà la forza per convincere il ministro Padoan, trattandosi di materia puramente elettorale. Dunque ieri sarebbe iniziato «un lavoro teso a costruire una coalizione di centrosinistra aperta, ampia, plurale dove tutti concorrono a uno sforzo unitario», sottolinea con un' enfasi alquanto sospetta, mancando elementi certi, il vice segretario del Pd, Maurizio Martina, «è stato un passo avanti, l' inizio di un lavoro, e ci tengo a sottolinearlo perché poi dovremo andare avanti negli approfondimenti e nel confronto, ed è molto importante che ci sia questa disponibilità. Ma l' importante sarà poi approfondire e continuare a ragionare insieme soprattutto per i programmi». Già, i programmi. «Con Fassino abbiamo anche parlato di un garante dell' accordo, se si farà, come molti auspicano, una coalizione ampia e aperta», spiega il leader di Campo progressista. Ovviamente il nome che non si fa, ma al quale tutti pensano è quello di Romano Prodi. «Muto, non parlo. E da domani sono pure negli Stati Uniti», sottolinea il professore, che prima di partire ha incontrato Renzi. Un «segnale» che vale più di mille programmi, avendo ribadito all' ex premier la voglia di «unire» e non certo quella di mettersi «in proprio». L' Ulivo del nuovo millennio può attendere. Per ora. di Enrico Paoli

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