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Giorgio Napolitano rinnega se stesso, Paolo Becchi: "Bel paraculo"

Andrea Tempestini
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Sembrava di sentire un'altra persona. E invece era proprio Re Giorgio che ieri ha preso la parola a Palazzo Madama come presidente anziano all'apertura dei lavori della XVIIIesima Legislatura. Anziché imbastire un discorso che serrasse le fila attorno all'establishment di cui l'emerito è parte, Napolitano ha fatto due passi indietro come i gamberi, venendoci a fare - proprio lui - una lezione di democrazia. Ha addirittura richiamato il rispetto della volontà popolare e sottolineato la batosta subita dal Pd, evidenziando che «sulla scena politica nazionale il voto del 4 marzo ha determinato un netto spartiacque, a inequivocabile vantaggio dei movimenti e delle coalizioni che hanno compiuto un balzo in avanti clamoroso nel consenso degli elettori, e che quindi di fatto sono oggi candidati a governare il Paese». Leggi anche: Napolitano inizia la legislatura e massacra Matteo Renzi Più che un discorso, ci è sembrata un'ammissione di responsabilità. A parte l'irritualità dell'intervento, tant'è che l'emerito avrebbe dovuto attenersi esclusivamente a contenuti di carattere istituzionale invece che politico, accettare da lui lezioni di democrazia ci sembra troppo. Le ferite del 2013 si sentono ancora. Fu proprio Re Giorgio che cinque anni fa, rieletto per la seconda volta al soglio quirinalizio, calpestava la volontà popolare tenendo fuori dal governo del Paese il primo partito, che ieri come oggi è il M5S. Di fronte a quel risultato elettorale, Napolitano conferì l'incarico a Bersani, capo della coalizione di centrosinistra che aveva di niente superato quella di centrodestra. Fallito il tentativo di Bersani, che era sembrato propenso a un'alleanza coi 5 Stelle, l'emerito ribaltò il tavolo con un incarico ad Enrico Letta che trovò il proprio sostegno parlamentare anche nel centrodestra. E i 5 Stelle all'opposizione. Oggi invece, di fronte all'impennata del consenso elettorale delle forze anti-sistema, soprattutto quello ottenuto da M5S e Lega, Re Giorgio fa il salto della quaglia balzando sul carro del vincitore e auspicando che il nuovo governo sia rispettoso della volontà popolare. In realtà il vecchio è furbo. Prima di tutti ha capito che il vento è cambiato e che certi equilibri politici non possono essere più garantiti. Ma da saggio a paraculo il passo è breve. Il centrodestra non dimentica affatto il colpo di Stato del novembre 2011 col quale l'emerito destituì l'ultimo governo eletto dal popolo, così come non dimentica le pressioni che fece su Berlusconi per la guerra in Libia voluta dalla Francia. Ora che Sarkozy è stato arrestato come un ladruncolo di periferia perché beccato proprio coi soldi della Libia, anche il nostro “Grande Vecchio” inizia a sentir mancare la terra sotto i piedi. E allora si accredita coi vincitori lanciando anatemi agli sconfitti, suoi compagni di merenda non più tardi di ieri. Più che opportunista, l'ex capo dello Stato è proprio un bel paraculo. Lunga vita a Re Giorgio! di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

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