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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
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Da giorni Gianfranco Fini chiede il cessate il fuoco. Non lo fa personalmente, lo manda a dire tramite i suoi ambasciatori, lasciando intendere che se si interrompessero le inchieste giornalistiche che lo riguardano, lui e i suoi sarebbero disposti a votare la fiducia al governo. Anzi, se servisse sarebbero pure pronti a digerire il processo breve, rinunciando a farne uno lungo a Berlusconi. Per convincersi che, al di là delle bellicose dichiarazioni dei pretoriani, queste siano le vere intenzioni del presidente della Camera, bastava leggersi ieri il Secolo d'Italia, l'unico giornale chiuso per ferie nei soli giorni in cui sarebbe stato utile in edicola. Tornata dalle vacanze e chiuso l'ombrellone, la direttora ha debuttato ieri con un editoriale fulminante, titolato «Ora possiamo ricominciare a fare politica?». E come se niente fosse successo,  non ci fossero stati l'appartamento di Montecarlo, gli appalti Rai, il patrimonio di famiglia e i pagamenti alla cricca, e mezza Italia non si attendesse risposte chiare e definitive in merito, la finiana di ferro Flavia Perina ha invitato a voltare pagina, «resettando»  quel che è accaduto nell'ultimo mese, affitto al cognato compreso. Come se tutto fosse stato uno scherzo e le questioni aperte delle banali faccenduole. In pratica, da quel che si capisce, per rimettere insieme i cocci del Popolo della Libertà la terza carica dello Stato pretenderebbe che Libero e il Giornale fossero imbavagliati e costretti a tacere sulle oscure faccende emerse in queste settimane, in modo da consentirgli di presentarsi a Mirabello parlando d'altro e con la certezza che nessuno più gli chiederà conto dell'eredità Colleoni o degli affari televisivi della suocera. Per levarsi i dubbi che questa sia la linea del muto di Ansedonia, basta dare uno sguardo al divertente e sempre informato sito di Roberto D'Agostino, il quale, sentendo aria di tregua, da qualche giorno si domanda maliziosamente chi dirà a Feltri e Belpietro che la devono piantare con Gianfranco e signora.  Un simile quesito ovviamente mi inorgoglisce, non tanto per me, ma per il giornale che rappresento, del quale non immaginavo l'importanza e il peso sui destini del governo o, forse, più modestamente del numero uno di Montecitorio. Non sapevo infatti che Libero fosse così determinante da essere messo al punto numero uno del programma di un partito che promette futuro e libertà e per cominciare li vuol negare a un organo di stampa. Né immaginavo che le nostre domande potessero levare il sonno a una persona navigata come Gianfranco Fini, al punto di definirci manganellatori, lui che di manganelli se ne intende. Anche perché il problema non credo consista nel convincere la mia trascurabile persona a tacere, rinunciando a conoscere le delucidazioni del presidente della Camera sulle questioni sollevate. Semmai si tratta di persuadere le decine di migliaia di lettori che ci hanno scritto in queste settimane, reclamando le dimissioni di Fini. Come spiegar loro che in questo mese non è successo niente, ma che tutto è stato uno scherzo da dimenticare in fretta? Anche perché, se il problema fosse solo indurre me a star zitto, lo si potrebbe risolvere in fretta: basta farmi licenziare. 

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