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L'editoriale

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di Vittorio Feltri

Giulio Bucchi
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I progressisti italiani ed europei, in perfetta simbiosi, ce l'avevano a morte col governo nostro perché, con la collaborazione decisiva di Gheddafi, aveva adottato il sistema dei respingimenti per scongiurare le invasioni barbariche. Critiche idiote. E smentite dai fatti. Stando alle statistiche, dopo un anno di severi pattugliamenti delle coste, grazie anche all'accordo con la Libia, l'immigrazione selvaggia dal Nordafrica si era ridotta quasi a zero. Segno che il metodo funzionava. D'incanto, con la cessazione degli sbarchi a Lampedusa, cessarono anche le lagne dell'opposizione. Vigliacco però se qualcuno spende una parola d'elogio per Roberto Maroni che sarà antipatico come l'Autovelox, ma ha il merito di aver risolto uno dei più gravi problemi nazionali. Adesso è scoppiata la guerra più assurda della storia, ammesso che esistano guerre intelligenti, nella quale incautamente siamo intervenuti, e Gheddafi, sentendosi tradito da Berlusconi con cui aveva stretto un patto di ferro, ci ha mandato all'inferno, dovendosi occupare di cose più serie (salvare il regime e sé medesimo) dei migranti in procinto di venire da queste parti. Amen. Il conflitto continua da settimane. Il raìs, strabombardato da francesi e inglesi e americani col nostro assenso, resiste. Si dice ogni giorno che è sul punto di capitolare, ma non capitola manco per niente. Anzi. Di tanto in tanto riconquista una città che gli era stata soffiata dai ribelli appoggiati dall'aviazione miliardaria sotto il comando Nato. Sarà per questo motivo che il ministro degli Esteri Frattini ha detto sì alla fornitura di armi agli insorti che mirano ad abbattere il dittatore onde sostituirsi a lui, magari usando i suoi stessi criteri gestionali basati notoriamente sulla tortura e la soppressione fisica degli avversari politici. Ma il punto è un altro. Mezzo mondo ha fatto e fa il tifo per i ribelli pur non conoscendoli e non sapendo se siano democratici o canaglie. A giudicare dalle notizie provenienti dall'Egitto, la seconda ipotesi è più probabile, visto che i successori di Mubarak, tanto per gradire, si sono lanciati fra le braccia di quel simpatico bastardo che di cognome fa Ahmadinejad, appassionato di bombe atomiche e con un programma ambizioso: sganciarle su Israele per cancellarlo dalla carta geografica. Non mi sembra gente raccomandabile, ma posso sbagliare. Sicuramente sbagliano quelli che confidano in essa per rinnovare in meglio la politica degli Stati arabi e generi affini. La Tunisia ad esempio è stata la prima nazione a sollevarsi contro il tiranno e tutti l'abbiamo applaudita (dimenticandoci che avevamo osannato Ben Alì fino a tre mesi orsono). Ottimo. Ci aspettavamo chissà cosa dal rovesciamento del potere. E invece ce la siamo presa in saccoccia. Perché i signori subentrati al dominus fuggito gambe in spalla si sono comportati peggio di lui, almeno nei nostri confronti. Di tunisini, intendiamoci, ne abbiamo ospitati tanti anche in passato e, a dire il vero, si sono abbastanza integrati. Ma da qualche tempo ne giungono qui in massa e non c'è verso di fermarli per il semplice fatto che le loro autorità li spingono a partire, e una volta che hanno messo piede sulla Penisola non li rispedisci indietro nemmeno a cannonate. Lo abbiamo costatato. Berlusconi ha provato a recarsi laggiù per discutere la pratica con l'esecutivo provvisorio e ha fatto un buco nell'acqua. Ventiquattr'ore dopo il ministro Maroni ne ha seguito le orme e ha ottenuto lo stesso risultato: zero. La Tunisia promette poco e non mantiene nulla. Le conviene fare buona cera ai nostri emissari nella speranza di strappare loro soldi e mezzi, poi però se ne frega se i suoi cittadini piombano qua e si incazzano pure perché il catering non è di loro gradimento e, invece che all'Hilton, sono fatti accomodare nelle tendopoli o dove capita. Mentre il Cavaliere trattava affinché si ponesse fine agli imbarchi dei disperati, salpava dalle coste tunisine un naviglio sgangherato e affollato, e qualche ora più tardi affondava come un ferro da stiro. A galleggiare sono rimasti i corpi esanimi di uomini, donne e perfino bambini. Uno strazio. Ma a chi sarebbe toccato prevenire l'ecatombe impedendo all'imbarcazione di prendere il largo? Anche un mentecatto comprende che ogni Paese è responsabile del suo popolo. La Tunisia non può consentire che si svolga sul proprio territorio un traffico di persone pronte a pagare per essere traghettate illecitamente in Italia o altrove. Sarebbe obbligata a sorvegliare e a far rispettare norme elementari di sicurezza. Se una navicella malconcia si avventura in mare stracarica di poveracci ha probabilità altissime, al primo cavallone, di naufragare. E noi che ci possiamo fare? Dobbiamo forse sentirci in colpa? Tra l'altro siamo vittime. Fra quelli - numerosi - che riescono ad attraccare c'è una varietà umana che non esclude delinquenti evasi dalle carceri, malviventi d'ogni risma. Ci becchiamo anche questi. Zitti e pedalare. Sopportiamo soprusi e ci limitiamo a borbottare. Per sovrammercato ci danno di razzisti egoisti e crudeli. La Comunità europea ci osserva con divertimento mentre siamo alle prese con un problema enorme e rifiuta di darci una mano. Ci siamo infilati in un vicolo cieco da cui ignoro come potremo uscire, almeno a breve. Ci si domanda per quale ragione dobbiamo restare agganciati a un'Europa che se ne infischia di noi quando abbiamo bisogno, che ci ha impoverito con l'euro cambiato a cifre folli, ci fa pagare pedaggi da strozzo e, se si tratta di sborsare, usa la lesina (noi poi siamo talmente cretini da non riscuotere, per insipienza, i fondi cui avremmo diritto). Giusto ieri il commissario Andris Piebalgs, responsabile Ue dello sviluppo, ha dichiarato alla Reuters che l'Italia dovrebbe raddoppiare il suo contributo ai Paesi del Nordafrica per finanziarne lo sviluppo e la transizione democratica, dato che nessuno - ha sottolineato questa faccia di bronzo - sosterrà al suo posto le spese relative all'aumento della immigrazione. Ecco come siamo considerati. Intanto la Francia trema al pensiero che Maroni conceda ai clandestini il permesso di soggiorno temporaneo che darebbe loro la facoltà di girare per il Continente senza temere l'espulsione. Nell'eventualità, una quota considerevole di tunisini emigrerebbe in terra transalpina, esattamente ciò che Sarkozy non vuole. E che noi, viceversa, gradiremmo assai. Speriamo che il ministro dell'Interno, quale extrema ratio, adotti il trucchetto per addossare anche ad altri il peso dell'emergenza. Un'emergenza che fatichiamo a superare con le nostre sole forze, come dimostra la cronaca delle ultime settimane. Ad maiora!

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