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L'editoriale

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di Vittorio Feltri

Giulio Bucchi
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Una grana al giorno toglie la fiducia di torno. L'ultima in ordine di tempo riguarda la decisione di Berlusconi - d'accordo con Napolitano- sulla guerra. Anche l'Italia bombarderà la Libia. Con delicatezza, ha precisato il premier suscitando più ilarità delle sue celebri barzellette. L'unico che non ha riso, né sotto né sopra i baffi, è stato Bossi. Anzi, si è infuriato e al premier ne ha dette di tutti i colori, sfogandosi sul proprio giornale, La Padania, il cui direttore - per scrupolo - lo ha censurato nelle espressioni più pesanti, quantomeno le ha sfumate. Non solo il leader delle camicie verdi ha ribadito la contrarietà della Lega al conflitto, ma ha accusato il presidente del Consiglio di aver calato le brache davanti a Sarkozy. Addirittura? Di più. Ha detto: «Silvio ha ridotto l'Italia a una colonia francese». Cribbio che botta. Motivo di tanta irritazione bossiana, il fatto che l'uomo dell'Eliseo, al termine della trattativa con il collega di Palazzo Chigi, si è portato a casa un grasso bottino: il governatore di Bankitalia, Draghi, e la Parmalat che nessuno dei nostri grandi industriali ha rilevato. E noi, in cambio, cosa abbiamo incassato? Nulla, neanche Carla Bruni che avrebbe dato un tocco di finta classe a Villa San Martino. Però ci teniamo tutti i profughi e i clandestini, compresi i tunisini notoriamente francofoni. Di qui l'incontenibile incazzatura del burbero leghista. Difficile dargli torto anche per noi berlusconiani d'antico pelo e inclini a perdonare al capo del governo qualsiasi scemenza, dalla D'Addario al bunga bunga. La domanda che ora ci si pone è inquietante: Bossi, dopo quanto gli è uscito di bocca, farà la pace col suo “socio di maggioranza” o porterà avanti la lite fino alla rottura della coalizione? Esaminiamo il problema. I due galletti del pollaio di centrodestra ogni tanto si beccano, poi discutono, poi si scambiano pacche sulle spalle. Umberto magari lucra qualcosa, una provincia, un comune, una cadrega. Silvio è contento d'averlo ammansito, e l'idillio riprende. Di solito succede questo. E chi aveva gridato al lupo si ritrova fra i piedi un agnellino. Sarà così anche nella presente circostanza? Ce lo auguriamo ed è superfluo elencare i motivi per cui convenga non sfasciare il giochino. Tra l'altro, oltre alla guerra, incombono elezioni amministrative, che nel nostro Paese sono sempre vissute drammaticamente, anche quando ci sarebbe da sbadigliare, figuriamoci adesso mentre dominano i responsabili. Ma i segnali stavolta non sono rassicuranti. Bossi ha ricevuto una telefonata. Era Berlusconi che probabilmente sperava di ottenere delle spiegazioni. Ma il manovratore del Carroccio non ha voluto parlargli. Ieri, nel tentativo di saperne di più, Libero ha fatto una intervistina volante a Maroni sul tema. C'è poco da stare allegri. Il ministro, pur con la consueta calma e freddezza, ha detto che la Lega sull'attacco armato alla Libia, e sul resto, non farà macchina indietro. Se si andrà in Parlamento per votare la mozione dell'opposizione, i deputati nordisti, poiché non sono disposti a recitare nel ruolo dei signorsì, ribadiranno in aula la loro ostilità alla linea assunta dal premier e dal Pdl. (Chi voglia approfondire la questione si legga le dichiarazioni di Maroni riportate nel servizio di Matteo Pandini). Qualora il clima non muti in fretta, se Berlusconi e Bossi non ci metteranno una pezza, non è esagerato dire che ci avvicineremo al baratro. Sarebbe il colmo che il governo, superati tanti scogli, dovesse incagliarsi nel momento in cui si sente, invece, il bisogno di dare una scossa al Paese. Va aggiunto che la Lega non ha interesse a sfasciare tutto; le preme piuttosto cogliere il federalismo da offrire quale trofeo alla propria base; d'altro canto, la stessa base è delusa e rischia di assottigliarsi a causa dell'avventata politica internazionale dell'esecutivo. Come si vede, ci sono un segno più e un segno meno che pendono sulla maggioranza. Finirà bene o finirà male? A noi basterebbe uno zero a zero. Palla al centro, e avanti con la partita al grido di viva il parroco, ché tanto comanda lui.

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