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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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La manifestazione dei No Tav svoltasi ieri nella Capitale dimostra una sola cosa, ovvero che i contestatori dell'Alta velocità sono quattro gatti. Sicuramente arrabbiati, ma sempre quattro gatti. Il corteo sfilato a Roma era infatti composto da poco più di un migliaio di persone, le quali hanno fatto molto rumore e si sono distinte nella ormai consueta  caccia ai giornalisti, colpevoli di non narrare con enfasi le epiche gesta del gruppetto di sfasciacarrozze. Ma per quanto chiasso abbiano fatto, il numero resta quello. Del resto, già nei giorni scorsi, ci eravamo resi conto che dietro alle roboanti minacce, la truppa dei guerriglieri schierata in Val di Susa fosse poca cosa. A differenza di quanto i capetti della protesta volessero far credere,  la gente del posto  anche se non si strappa i capelli per il supertreno, è tutt'altro che disposta alla rivolta. Anzi. La maggior parte vorrebbe che la si facesse finita con le piazzate,  gli scontri con la polizia e i blocchi autostradali, perché tutto ciò ha una sola conseguenza: la perdita secca di fatturato per l'economia della zona. Meno turisti, meno traffico, rischio che alla fine gli abitanti ci rimettano con il proprio portafogli. Non a caso, proprio ieri qualcuno tra i valligiani ha raccolto il suggerimento lanciato dalle pagine di Libero nei giorni scorsi. Per farla finita con la contestazione, basterebbe che i  valsusini, quelli veri  e non importati per fare la rivoluzione, scendessero in piazza come fecero trentadue anni fa i quadri della Fiat. Allora la fabbrica di automobili era un inferno e per la gente che aveva voglia di lavorare non c'era modo di varcare i cancelli se non rischiando la pelle. A sbloccare la situazione e cacciare violenti e prepotenti che picchettavano gli ingressi, ci pensarono impiegati e capireparto. Quarantamila persone di buon senso che sfilarono per le vie di Torino chiedendo di poter tornare al lavoro. L'idea serpeggia ora anche in Valle. Per far smettere una contestazione che interessa a pochi, vogliono scendere in piazza in molti. Non sappiamo se poi la manifestazione si farà  né quanti vi prenderanno parte. Ma indipendentemente dal risultato, la sola idea dimostra che quando si parla di una valle che si ribella ad un'opera pubblica si dice una corbelleria. La metà degli abitanti del posto, forse di più, al progetto guarda con interesse. Sia per via dell'indotto in posti di lavoro sia per il traffico turistico che potrebbe generare. Un terzo dei valsusini probabilmente preferirebbe che tutto rimanesse così com'è, in quanto teme che i camion e i cantieri necessari alla costruzione della linea ad alta velocità provochino disagi. Tuttavia, pur essendo diffidenti verso il progetto, non appartengono al gruppo che ogni sera blocca l'autostrada ed è sempre pronto a menare le mani contro la polizia. In realtà, i facinorosi sono meno di un migliaio, anzi, secondo chi li conosce bene poco più di cinquecento. Nel gruppo c'è di tutto. I vecchi arnesi dell'autonomia, irriducibili della rivoluzione che frequentano i centri sociali, un po' di anarchici venuti da fuori, dall'Italia o dall'estero, un po' di giovani contro tutto e contro tutti. Loro si dicono contrari al Tav e si sono autonominati difensori del territorio contro la speculazione delle banche e del grande capitale. Ma in realtà a loro del treno superveloce non  importa nulla. L'Alta velocità è un pretesto. Se non ci fosse stata avrebbero individuato qualche altra grande opera da contestare o un'altra decisione per fare casino. A loro non interessano la modifica al piano o interventi che limitino l'impatto ambientale del cantiere. Loro vogliono solo impedire la realizzazine di  un'infrastruttura, ovvero un simbolo della modernità, che per loro equivale alla rappresentazione dell'imperialismo. Nulla e nessun dialogo potrebbero indurli alla ragione. Perché sono contro a prescindere. È tutto ciò che rappresenta lo Stato e l'Europa, ossia l'autorità e il potere, che  contestano. In altre parole, sono i nipoti dei sessantottini più arrabbiati uniti agli ultimi sopravvissuti di una generazione di rivoluzionari. Date le premesse, convincerli sarà impossibile. Al dialogo sono interessati solo se dà ragione a loro. Dunque, per arginarli, non resta che un mezzo: applicare la legge. Senza se e senza ma. I quattro gatti arrabbiati, se bloccano le autostrade e interrompono un pubblico servizio, vanno messi in gabbia. E mi scusino i mici veri, che invece possono continuare a fare le fusa. di Maurizio Belpietro

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