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Otello, il duetto con Giuseppe Giacomini: la vendetta del Moro è anche la vendetta del Bello oggettivo

Dal capolavoro verdiano, insieme al baritono Milnes

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Crediamo di non sbagliare tornando a parlare del Maestro Giuseppe Giacomini, che ci ha lasciato ieri a 80 anni: uno dei più grandi tenori drammatici del '900, di cui abbiamo scritto già ieri qui.

Quando un miracolo della natura si unisce a studio indefesso, sacrificio, umiltà e profonda sensibilità di artista, vengono fuori questi fenomeni che, come abbiamo già scritto, ci aprono uno spiraglio sull'Assoluto.  Oggi però vogliamo farvi vedere e ascoltare qualcosa di unico e di straordinario, perché se le cose non si "toccano con mano", restano solo parole.

Vi proponiamo così il duetto Otello-Jago dall'omonimo capolavoro di Verdi, eseguito nel 1987 (a cento anni dalla prima rappresentazione) da un immenso Giacomini, in stato di grazia, insieme all'eccellente baritono americano Sherrill Milnes e con una direzione spaziale di Anton Guadagno.

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Il confronto fra le due voci è clamoroso:  paradossalmente, il timbro del tenore Giacomini pare persino più scuro e brunito di quello del collega baritono, ma è dotato di una luce straordinaria che splende in acuti mai "aperti", sempre ben "raccolti" grazie a una rodatissima tecnica del "passaggio" di scuola squisitamente belcantista-italiana. Al confronto con Mario Del Monaco, altro leggendario Otello,  la voce di Giacomini risulta così più rotonda e "nobile", ma ugualmente monumentale. Il carattere timido e schivo dell'uomo, ha sempre utilmente fornito al tenore una misura e una compostezza che hanno reso le sue interpretazioni di personaggi - pur drammaticissimi - sempre incentrate mirabilmente sul Canto,  L'UNICA COSA CHE CONTA veramente nell'Opera, nonostante oggi si faccia di tutto per distrarre l'attenzione su regìa e recitazione. Basti pensare a una delle ultime "Tosca" a La Scala, dove la protagonista e Scarpia sembravano gli stuntman di Quentin Tarantino, con disturbanti pugnalamenti, sangue finto, budella di fuori, spasmi epilettici, strangolamenti. Quel povero Scarpia ci mancava che fosse sciolto nell'acido.

(Non siamo al cinema,  se non l'avessero capito i registi lirici).

L'Otello di Verdi è un immenso capolavoro del 1887, "il vertice più alto di quanto è stato finora raggiunto nella musica italiana d’opera", scriveva Ferruccio Busoni in quegli anni. Il libretto è di Arrigo Boito, un altro tipo da niente: poeta, drammaturgo, scrittore, librettista il quale, così, tanto per togliersi uno sfizio, scrisse anche lui due opere, le enormi "Nerone" e "Mefistofele", quest'ultimo un capolavoro assoluto del teatro lirico. Fu anche senatore e volontario garibaldino, dato che seguì l'Eroe dei Due mondi in Trentino, nella campagna del 1866. Capite che personaggi? Ve li immaginate oggi poeti e scrittori contemporanei partecipare a missioni di pace in Medioriente come militari e scrivere anche opere liriche?

Ma non divaghiamo e torniamo a bomba: in questo duetto, abbastanza semplice come struttura, dopo il breve, misterioso recitativo di Milnes, l'esplosione vocale di Giacomini, annuncia l'inizio del travolgente pezzo chiuso: "Mille vite gli donasse Iddio! Una è povera preda al furor mio!".

Otello giura vendetta per il tradimento coniugale di cui si crede vittima e l'invettiva "è tanto impressionante -scrive ancora Busoni - che persino Jago, dimentico di sé, esce dalla parte e lo intona anche lui". 

Notevolissimo, quindi, il Si bemolle finale eseguito anche da Milnes (un sovracuto di bravura per un baritono) che non passa per gigionata, ma scolpisce coerentemente nel "bronzo vocale" la sua malvagia fedeltà al Moro.

Il brano verdiano, eseguito  dal nostro Giacomini, è però qualcosa di più di uno splendido  duetto d'opera. Ascoltato oggi, è anche, possiamo dire, una VENDETTA IN SENSO LATO, in senso culturale, estetico, antropologico.

E' la vendetta del Bello Oggettivo contro il brutto, l'osceno, il volgare, il blasfemo, il mediocre dei nostri tempi: è il monito che ci fa capire cosa ci perdiamo tutti i giorni ascoltando musica da poco, canzonette commerciali eseguite da personaggi ibridi, (i cui trucchi e tatuaggi non riescono a celare le voci orrende), motivetti sintetici pieni di volgarità e becerumi, mentre a portata di orecchio abbiamo L'ORO PURO e una valanga di emozioni autentiche e catartiche. Trattiamoci bene, ce lo meritiamo.

Buon ascolto e buona lettura.

JAGO

Talor vedeste

in mano di Desdemona un tessuto trapunto

a fior e più sottil d’un velo?

OTELLO

È il fazzoletto ch’io le diedi,

pegno primo d’amor.

JAGO

Quel fazzoletto ieri

(certo ne son) lo vidi in man di Cassio.

OTELLO

Ah! Mille vite gli donasse Iddio!

Una è povera preda al furor mio!!

Jago, ho il cor di gelo.

Lungi da me le pietose larve!

Tutto il mio vano amor escalo al cielo;

Guardami, ei sparve.

Nelle suespire d’angue

L’idra m’avvince!

Ah! Sangue, sangue, sangue!

S’inginocchia

Si, pel ciel marmoreo giuro!

Per le attorte folgori!

Per la Morte e per l’oscuro mar sterminator!

D’ira e d’impeto tremendo

presto fia che sfolgori

Questa man ch’io levo e stendo!

Levando la mano al cielo. Otello fa per alzarsi; Jago lo trattiene inginocchiato

JAGO

s’inginocchia anch’esso

Non v’alzate ancor!

Testimon è il Sol ch’io miro,

che m’irradia e inanima

l’ampia terra e il vasto spiro

del Creato inter,

che ad Otello io sacro ardenti,

core, braccio ed anima

s’anco ad opere cruenti

s’armi il suo voler!

JAGO e OTELLO

alzando le mani al cielo come chi giura

Sì, pel ciel marmoreo giuro!

Per le attorte folgori!

Per la Morte e per l’oscuro mar sterminator!

D’ira e d’impeto tremendo presto fia

che sfolgori questa man ch’io levo e stendo!

Dio vendicator!

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