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Benedetto XVI: "Dum tacet clamat", il silenzio parlante del Codice Ratzinger

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Lo abbiamo già scritto, ma una delle cose più stupefacenti di questa verità “che si svela gradatamente”, come dice il Santo Padre Benedetto XVI, è il processo di comprensione inconscio e collettivo del Codice Ratzinger. Come ormai ben sapete, questo è lo stile di comunicazione - mutuato da quello di Gesù QUI - con cui il vero Papa ci spiega la sua SEDE IMPEDITA, lo status canonico parallelo a quello della sede vacante (vedasi canone 335) nel quale si è rifugiato nel 2013 che gli ha consentito di restare l’unico vero pontefice scismando i nemici della Mafia di San Gallo che volevano toglierlo di mezzo per sostituirlo col loro campione, il card. Bergoglio QUI.

L’inchiesta, condotta per due anni su questa pagina, è stata poi raccolta nel volume “Codice Ratzinger” (Byoblu ed.) a oggi fra i primi dieci saggi più letti in Italia. Tradotto in inglese, spagnolo e - a breve -in francese, sarà presentato questo pomeriggio a Frosinone, mentre alla fine del mese lo sarà a Livorno (29), Asti (30) e Torino (1° novembre).

Già da tempo, lo scrivente stava pensando a un articolo sui “silenzi eloquenti” di papa Benedetto: il Codice Ratzinger si avvale, come abbiamo già scritto, di anfibologie, fraintendimenti iniziali, riferimenti alla storia, alla Scrittura, alle fonti; utilizza “giochi” logici, ma anche e soprattuttosi serve dei NON DETTI.

Avevamo appena incominciato scrivere il pezzo quando un lettore, Adalberto G., ci invia questa email all’indirizzo dell’inchiesta [email protected] :

“Gentile Dottore, ci terrei a segnalarle un passaggio pronunciato da Mons. Ganswein che mi sembra significativo. E’ tratto dalla presentazione del volume “Joseph Ratzinger Benedetto XVI - Immagini di una vita” che si è svolta presso la Camera dei deputati il 14 giugno 2017. Nel corso del suo discorso, Mons. Ganswein mi sembra pronunci delle parole che suonano come un’ennesima conferma del Codice Ratzinger. Iniziano dal minuto 4:54, a Lei capire se, e come, questo tassello si inserisce nel puzzle che sta sapientemente componendo". 

QUI il link del video:

Si vede un Mons. Gaenswein molto più disinvolto del suo ultimo intervento alla Lumsa, QUI dove la quantità di “codici” inviati dal Papa e da lui citati a memoria, con il loro dirompente significato, lo avevano posto in una certa tensione.

Ed ecco cosa rivelava nel 2017 l’arcivescovo segretario di papa Benedetto: “Il secondo punto riguarda la presenza del Papa emerito, una presenza molto silenziosa, molto gradita da tante persone e, anzitutto, molto attiva nella preghiera. Ma anche è una presenza … “dum tacet clamat” avrebbe detto una volta Cicerone: “non parlando, parla”. E’ un parlare in modo silenzioso che credo faccia molto bene a molte persone. E fa molto bene alla Chiesa e al popolo di Dio”.

Assolutamente straordinario

(e ci sono ancora persone che dubitano da che parte stia Mons. Gaenswein).

Solo oggi, cinque anni dopo, avremmo compreso il senso di queste parole di Mons. Gaenswein che tornano alla luce grazie al contributo davvero provvidenziale di un lettore.

Il linguaggio di papa Benedetto è come una musica, dove le pause, i silenzi, appunto, contano tanto quanto le note, ciò che viene esplicitato.

E proprio da una “pausa”, da un "tacet" come si dice in musica, ha preso piede nel 2020 la nostra inchiesta, quando scoprimmo che il Santo Padre ripeteva indefessamente da otto anni: “Il papa è uno solo”, tacendo su quale dei due fosse. Un silenzio assordante, alla portata della comprensione di chiunque, tranne di chi è in malafede, è bergogliano, o ha interessi materiali a tacere la verità, come l’informazione una cum, cioè i catto-conservatori legittimisti di Bergoglio.

Un altro silenzio tonante, recentissimo, è quello compreso nella bordata di Codici Ratzinger della telefonata di Mons. Gaenswein con padre Willibald QUI .

Alla domanda “papa Benedetto celebra la messa in unione con chi, con se stesso o con papa Francesco?”, Mons. Gaenswein, invece di rispondere direttamente “con papa Francesco” si è espresso così: “Papa Benedetto non ha mai menzionato nessun altro nome nel Canone della Messa. Non ha mai nominato se stesso nel Canone”. Un mirabile giro di parole che gli consente di NON dire che celebra la messa “una cum papa Francisco”, ma che spiega come Benedetto reciti la formula del vero papa: “in unione con me tuo indegno servo”, dove appunto non viene menzionato alcun nome, nessun altro nome.

Così come papa Benedetto, nella stessa occasione, tace ancora, nel suo messaggio all’”illustre lista di presentatori” su dove sia con precisione, nei libri di Geremia e Isaia, la risposta a chi non crede.: "Non vi dico in quale capitolo e in quale versetto".

Solamente gli uomini di buona volontà hanno la pazienza di leggersi le decine di capitoli dei due libri biblici per trovare frasi come: “Io sono impedito”; “Il prigioniero sarà presto liberato”; “Rimarrà solo un piccolo resto insignificante” e con "Piccolo resto" si intende proprio quella piccola parte di fedeli ed ecclesiastici rimasti fedeli a Papa Benedetto.  

Ma concludiamo con una nota umoristica, perché papa Benedetto, nonostante l’apparenza cucitagli addosso dal mainstream di severo teologo, è uno dei papi più spiritosi e simpatici della storia, oltre che dei più santi.

 In “Ultime conversazioni” (Garzanti 2016), il giornalista Seewald gli chiede :

“Ha seguito il conclave da lì?”

“Certamente”.

“In che modo?”

“Naturalmente non abbiamo ricevuto nessuno, è chiaro, né abbiamo avuto contatti con il mondo esterno, ma quello che si poteva vedere alla televisione l’abbiamo visto. Soprattutto la sera dell’elezione”.

L’avete capita?

“Quello che si poteva vedere alla televisione”… ma non specifica “quello che si poteva vedere del conclave”. Anfibologicamente, la frase può quindi intendere anche che lui ha seguito il falso conclave nel più completo disinteresse, guardando in televisione “quello che si poteva vedere”, (un film, un telegiornale, un approfondimento, una trasmissione degna). E infatti, quando Bergoglio lo chiamò ancor prima di uscire al balcone, non lo trovò perché papa Benedetto stava appunto guardando la televisione QUI

"“La cosa più grande è sapere quando parlare e quando stare zitti".  Lucio Anneo Seneca 

 

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