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Ai cattoconservatori: come il latino di papa Ratzinger  ha sistemato Bergoglio

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Alla cortese attenzione di

S.E.R. Mons. Carlo Maria Viganò

S.E.R. Mons. Athanasius Schneider

Rev.mo Mons. Nicola Bux

Rev.mo Don Livio Fanzaga (Radio Maria)

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Dott. Corrado Ruini (Liberi in Veritate)

Dott. Lorenzo Bertocchi (Il Timone)

Dott. Sabino Paciolla (Il blog di Sabino Paciolla)

Eccellenze Reverendissime, Reverendissimi ed Egregi Professori/Dottori,

Vi presentiamo questo breve studio, sintesi di due anni e mezzo di lavoro, insieme al giudice antimafia Dott. Angelo Giorgianni, già Sottosegretario alla Giustizia con Delega agli Affari di Culto, oggi presidente dell’Organizzazione Mondiale per la Vita, al prof. Gian Matteo Corrias, latinista e storico, e al prof. Luca Brunoni, docente di storia e religione.

Il 5 aprile 22, sul blog di Aldo Maria Valli, Mons. Viganò scriveva: “Occorre far luce sull’abdicazione di Benedetto XVI e sulla questione dei brogli del Conclave del 2013, che prima o poi dovranno dare luogo ad un’indagine ufficiale. Se vi dovessero essere prove di irregolarità, il conclave sarebbe nullo, nulla l’elezione di Bergoglio, così come nulle sarebbero tutte le sue nomine, gli atti di governo e di magistero. Un reset che ci riporterebbe provvidenzialmente allo status quo ante, con un Collegio cardinalizio composto SOLO DAI CARDINALI NOMINATI FINO A BENEDETTO XVI, estromettendone tutti quelli creati dal 2013, notoriamente ultraprogressisti”.

Sua Eccellenza Viganò aveva intuito bene, come illustreremo di seguito.

Come è arcinoto, la Declaratio di papa Benedetto dell’11 febbraio 2013 conteneva alcuni errori e imperfezioni di latino che furono evidenziati a caldo da insigni filologi come Luciano Canfora sul Corriere della Sera (articolo fatto sparire dal web, ma di cui rimane traccia QUI ), Wilfried Stroh sull’Abendzeitung e  anche dal Card. Ravasi su L’Arena di Verona.

Eppure, tre anni più tardi, nel 2016, nel libro intervista “Ultime conversazioni” di Peter Seewald, Benedetto XVI dichiarava: “Ho scritto in latino il testo delle dimissioni perché una cosa così importante si fa in latino. Inoltre il latino è una lingua che conosco così bene da poter scrivere in modo decoroso. Avrei potuto scriverlo anche in italiano, naturalmente, ma c’era il pericolo che facessi qualche errore”.

Ora, chiunque comprende che questa è un’evidente incoerenza, se si considera il termine ”errore” come pertinente alla sintassi.

Come illustreremo, gli errori ai quali papa Benedetto si riferiva erano solo quelli “storici”: abdicare per davvero e lasciare legalmente la Chiesa in mano al gruppo di prelati detto “Mafia di San Gallo” che, per ammissione di uno dei suoi membri, il card. Danneels, sponsorizzavano il card. Bergoglio fin dal 2005.

E’ stata infatti solo la lingua latina che ha consentito a papa Ratzinger, (pressato in ogni modo ad abdicare), di attuare un sistema antiusurpazione per scismare i suoi nemici favorendo indirettamente il proprio ritiro (Rücktritt) in SEDE TOTALMENTE IMPEDITA, status canonico alternativo alla sede vacante, dove il papa perde la possibilità di esercitare il suo potere pratico (ministerium) ma RESTA IL PAPA, detentore del munus petrino (da cui dipende la speciale assistenza dello Spirito Santo riservata al pontefice).

Solo in latino, infatti, esiste la distinzione fra munus e ministerium, che in italiano, inglese, francese spagnolo, portoghese e polacco vengono tradotti con la stessa parola: ministero, ministry, ministère, ministerio, posługa etc. (L’unica eccezione è il tedesco e, infatti, nella versione tedesca della Declaratio, Amt (munus) e Dienst (ministerium) sono stati scambiati di posto per avvicinare la Declaratio a un atto di abdicazione QUI  .

Si tratta di due concetti diversissimi e non sinonimici, almeno per quanto riguarda il ministerium. Sia il canone 332.2, che gli Acta Apostolicae Sedis del 1° marzo 2013, QUI  certificano in modo inequivocabile come per l’abdicazione del papa sia necessaria la rinuncia al munus petrino.

Il munus, l’”essere” papa, è il titolo fornito da Dio al momento dell’accettazione dell’Ufficio da parte dell’eletto, (come ribadisce la costituzione Universi Dominici Gregis all’art. 53 QUI  ) mentre il ministerium, il potere di “fare” il papa è conferito dai cardinali. Lo stesso Benedetto XVI specificava nella Declaratio che quel ministerium al quale egli dichiarava di rinunciare, gli era stato fornito per manus Cardinalium alla sua elezione nel 2005 QUI .

Il Santo Padre Benedetto XVI sapeva che, a posteriori, alcuni canonisti compiacenti con la “nuova amministrazione” avrebbero tentato di confondere le idee sfruttando in modo improprio i diversi significati di munus (che comunque NON È L’OGGETTO DELLA RINUNCIA), ma con questa nota, “per mano dei cardinali”, papa Ratzinger ha spazzato via ogni ambiguità: i cardinali possono conferire il ministerium inteso (così come è in tutto il diritto canonico) solo in quanto potere pratico, nella fattispecie il diritto a fare il papa.

Inoltre, Benedetto XVI dichiarava di rinunciare al solo ministerium, pur sapendo benissimo che il papa non può volontariamente e canonicamente separare il ministerium dal munus, come anche ricordato recentemente da S.E.R. Gerhard Müller nel suo ultimo libro “In buona fede”.

QUESTA SEPARAZIONE PUÒ PERÒ AVVENIRE DI FATTO, FORZATAMENTE, SOLO IN UN CASO: la sede totalmente impedita, (can. 335, 412) quando il papa è prigioniero, confinato, esiliato e quindi perde, per causa di forza maggiore, l’ESERCIZIO del munus, cioè il ministerium. Essendo prigioniero, ovviamente non può “fare” il papa, ma “è” ancora il papa, e mantiene il munus.

Proprio per questo motivo, come vedremo, Benedetto XVI ha genialmente DIFFERITO DI 17 GIORNI l’entrata in vigore di questa - canonicamente impossibile - rinuncia al solo ministerium.

Infatti, qui interviene ancora, salvifica, la lingua latina. Come ascoltiamo QUI (al min. 7.40) dalla sua lettura della Declaratio, Benedetto XVI dice: “…ministerio […] renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora VICESIMA…”.

Solo in latino, con hora vicesima, papa Benedetto poteva fare riferimento, per l’ora in cui sarebbe divenuta effettiva la sua rinuncia al ministerium, all’ORARIO ROMANO, adottato a partire dal XIV secolo fino all’età napoleonica in Italia e nei territori dello Stato Pontificio. Orario che è segnato ancor oggi dall’orologio funzionante del palazzo apostolico di Castel Gandolfo.

Dato che l’orario romano fa partire il computo delle ore dal tramonto, e non dalla mezzanotte, l’hora vicesima del 28 febbraio 2013, (giorno in cui il sole tramontava alle 18.00) non corrisponde affatto alle 20.00 del 28 febbraio, ma al lasso di tempo che, per il nostro sistema orario internazionale a 24 ore, intercorreva fra le 13.00 e le 14.00 del giorno dopo, il 1° marzo.

QUESTA ACQUISIZIONE È FONDAMENTALE. Papa Benedetto sapeva che il bollettino vaticano esce sempre fra le 12.00 e le 13.00; infatti, intorno alle 12.30 del 1° marzo 2013, in piena hora XIX (undevicesima), veniva diffuso il bollettino che convocava il nuovo conclave. Questo era però illegittimo (e insanabile) perché Benedetto XVI non era abdicatario in quanto non aveva rinunciato al munus, in quanto canonicamente non avrebbe potuto rinunciare al solo ministerium e, infine, anche perché non era ancora scattata l’”hora vicesima”.

 

Alle 12.30 si realizza così immediatamente il COLPO DI STATO e Benedetto XVI, esattamente dall’inizio dell’hora subito successiva, la vicesima, entra di fatto in sede totalmente impedita. Quale papa potrebbe infatti essere più impedito di uno al quale convocano un altro conclave mentre egli è vivente e regnante? La canonicamente impossibile separazione di munus e ministerium si può realizzare quindi, forzatamente, per sede totalmente impedita, e le “dimissioni” di Benedetto XVI dal ministerium diventano così effettive, fattuali, proprio dalle 13.00 del 1° marzo, appunto, dall’hora vicesima del 28 febbraio 2013.

[Per questo motivo Benedetto, dal balcone di Castel Gandolfo salutò il pubblico alle 17.45 con un assurdo (per noi) “buonanotte”: secondo l’orario romano si era infatti in prossimità della mezzanotte, ossia dell’inizio del computo orario di una nuova giornata con le prime 12 ore notturne.

Disse poi che “dalle otto di sera”, (traduzione italiana dell’hora vicesima dal latino), non sarebbe stato più “pontefice sommo”, inversione semantica del titolo di Sommo Pontefice (pure giustificata da alcuni antichi usi) che gli consentì di dire la verità, cioè che non sarebbe stato più “il papa nel posto più importante”: vi sarebbe stato un altro papa, di una chiesa scismatica, molto più in vista di lui].

E arriviamo al terzo punto in cui il latino salva la Chiesa cattolica: “…ministerio […] renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri VACET”.

Questa frase è stata tradotta in italiano come “in modo che la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà VACANTE”. Basta aprire un dizionario di latino qualsiasi per scoprire che il verbo vacare ha come primo significato “esser vuoto, sgombro, libero”, e che quindi, riferito alla sede di San Pietro, indicava semplicemente che questa sarebbe rimasta libera, vuota, (poiché solo una rinuncia simultanea al munus l’avrebbe resa giuridicamente vacante).

Infatti, papa Benedetto, da impedito, non sarebbe più tornato sulla cattedra di vescovo di Roma, in Laterano,  sede da dove traeva la sua legittimità a governare, cioè il suo ministerium.

Quarto punto, la lingua ufficiale della Chiesa permise a Benedetto XVI di introdurre un’altra preziosa indicazione nella Declaratio: il latino consente di slegare il concetto dell’elezione del successore dal momento temporale della sua rinuncia, interrompendo la relazione logica. La traduzione che è stata pubblicata della frase: “…e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice” è sbagliata, dato che solo ad uno compete convocare il conclave, cioè al cardinale decano. Si aggiunga che “his” vuol dire “questi, costoro” e non “coloro”. Inoltre, il complemento d’agente ab his quibus competit (ab + ablativo) secondo l’uso latino non dovrebbe essere retto da convocandum esse (una perifrastica passiva che richiede il dativo d’agente), ma da ad eligedum.

Quindi la traduzione corretta è: “E DICHIARO che dovrà essere convocato il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice DA PARTE DI COSTORO AI QUALI COMPETE”.

Con questa frase papa Benedetto specificava esattamente che, in seguito alla sua sede impedita e dopo la sua morte, il prossimo (vero) Sommo Pontefice dovrà essere eletto da quegli stessi cardinali allora lì presenti, di nomina ratzingeriana e wojtyliana. Prescrive infatti la Universi Dominici Gregis all’art. 33 che “…È assolutamente escluso il diritto di elezione attiva da parte di qualsiasi altra dignità ecclesiastica o l'intervento di potestà laica di qualsivoglia grado o ordine”.

Così, se, dopo l’uscita di scena di Bergoglio il prossimo conclave comprendesse anche uno solo dei cardinali invalidi da lui nominati, verrebbe eletto un altro antipapa, ancora privo del munus e dell’assistenza dello Spirito Santo. La Chiesa canonica visibile sarebbe FINITA.

La Declaratio non fu quindi affatto un’abdicazione, ma la previsione e la spontanea accettazione di una sede impedita che Benedetto XVI avrebbe subìto a causa del travisamento della Declaratio da parte dei cardinali. Papa Ratzinger ha accettato di farsi imprigionare, di fare “un passo di lato” (come disse) per restare il vero papa, concedendo uno spazio ai nemici della Chiesa per consentire loro di svelarsi, PUR AVENDOLI GIÀ SCISMATI IN PARTENZA.

 

Così, capiamo perché in “Ultime conversazioni”: papa Benedetto ha dichiarato di aver scritto la Declaratio in latino “per non commettere errori”. Solo nel latino si cela la distinzione fra munus/ministerium, l’orario romano, il doppio significato di vacare etc.

Se infatti avesse scritto in italiano “dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, in modo che dalle 20.00 del 28 febbraio la sede di Roma sarà vacante”, l’intenzione sarebbe stata chiara, (anche se, ugualmente, il differimento di un atto giuridicamente puro come la rinuncia al papato avrebbe comunque reso invalida la Declaratio come abdicazione).

Benedetto XVI, dunque, non voleva commettere l’errore storico di abdicare, lasciando la Chiesa in mano ai nemici di Cristo e a un individuo che, come correttamente sostengono, con varie sfumature, pressoché tutti i destinatari di questa lettera, non è cattolico e non fa che lavorare per distruggere la Chiesa di Roma e la sua fede, per giunta, in questo ultimo periodo prendendo di mira, in modo clamorosamente evidente, la messa antica.

La sottigliezza del latino e la precisione del diritto canonico hanno permesso al Santo Padre Benedetto XVI di indurre tutti i cardinali, sia fedeli, che infedeli, a proteggere il papato ponendolo inconsapevolmente in sede impedita.

Da qui il concetto di “papa emerito”, che, per quanto inesistente nel diritto canonico, di fatto è il papa che conserva il munus - ossia il legame spirituale con la propria sede - e perde il ministerium come i vescovi emeriti, con la differenza che per i vescovi emeriti ciò avviene canonicamente, mentre per il papa questo può avvenire solo forzatamente, attraverso l’impedimento, in quanto il suo munus è esclusivo e indivisibile.

Ergo, “papa Francesco”, che tanta preoccupazione Vi desta, non esiste, è solo un vescovo* vestito di bianco che occupa abusivamente il trono di Pietro da dieci anni. (*Sia col papato che con l’antipapato si perde lo status cardinalizio).

La Chiesa è attualmente usurpata e in sede vacante dal 31 dicembre 2022.

L’inimmaginabile questione dell’autoesilio in sede impedita ci è stata fatta comprendere dallo stesso papa Benedetto in nove anni in cui, attraverso lettere, libri, interviste, gesti pubblici, ha inviato centinaia di input in tal senso, dai più evidenti ai più sottili. In primis, il fatto che abbia continuato a vestire di bianco, a vivere in Vaticano, a impartire la benedizione apostolica fino al febbraio 2022 QUI e a firmarsi col P.P. (Pater Patrum) esattamente come avverrebbe per qualsiasi papa in sede totalmente impedita. Per non parlare di quando ha fatto il riferimento storico incredibilmente preciso al precedente di Benedetto VIII del 1013 (“nessun papa si è dimesso per mille anni” QUI  )

o di quando ha indicato QUI che, per gli increduli, “la risposta si trova nel libro di Geremia”, dove si legge la frase - unica nella Bibbia - “IO SONO IMPEDITO”.

La soluzione della millenaria questione da cui dipende la salvezza non solo della Chiesa, ma forse anche del mondo, soprattutto in questa drammatica congiuntura internazionale, risiede nell’urgente disposizione di un’inchiesta canonica (l’indagine ufficiale di cui scriveva Mons. Viganò) da parte dei cardinali di nomina pre-2013. Un provvedimento ineludibile, dato che la Universi Dominici Gregis di Giovanni Paolo II, all’art. 3, impone che i diritti della Sede Apostolica debbano essere fatti rispettare dai cardinali: Inoltre stabilisco che il Collegio Cardinalizio non possa in alcun modo disporre circa i diritti della Sede Apostolica e della Chiesa Romana, ED ANCOR MENO LASCIAR CADERE, DIRETTAMENTE O INDIRETTAMENTE, ALCUNCHÉ DI ESSI, sia pure al fine di comporre dissidi o di perseguire azioni perpetrate contro i medesimi diritti dopo la morte o la valida rinuncia del Pontefice. Sia cura di tutti i Cardinali tutelare questi diritti”.

Una strada del tutto praticabile, dato che qualsiasi sanzione canonica proveniente da Bergoglio verso i cardinali che intendessero solo FARE CHIAREZZA, (magari proprio per tutelare la sua immagine) costituirebbe da parte di Francesco l’immediata ammissione di non essere il vero papa. Se è tutto in regola, infatti, perché scomunicare chicchessia per una semplice chiarificazione canonica?

Siamo quindi a chiederVi pubblicamente se volete perorare e sostenere questa istanza presso il Collegio Cardinalizio pre-2013, per la salvezza della Chiesa e la sicurezza della nostra Nazione.

Del resto, è fattuale che centinaia di migliaia di cattolici, se non alcuni milioni, non ritengano Francesco il vero papa. E questa situazione di incertezza canonica (papa dubius, papa nullus)  è - in ogni caso - intollerabile e deve essere chiarita dalla Chiesa a norma della Costituzione apostolica citata.

Tale comunicazione pubblica è stata voluta da tutti i firmatari per non lasciare nulla di intentato o di non chiarito. E’ il momento di storiche assunzioni di responsabilità da parte di tutto il ceto ecclesiastico e intellettuale che ha dimostrato, come Voi avete fatto sino ad oggi, di avere a cuore le sorti della vera Chiesa.

In attesa di Vostre notizie, rimanendo a disposizione per qualsiasi approfondimento, porgiamo i più cordiali saluti.

Dott. Andrea Cionci, Dott. Angelo Giorgianni, Prof. Luca Brunoni, Prof. Gian Matteo Corrias

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