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Vittorio Sgarbi, una festa infinita: provocazioni, show e un libro

Dall'accademia a alla televisione, dagli insulti in diretta alla politica (col senso dello Stato e dell' iperbole): cosa c'è dietro il genetliaco del critico-anchorman

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Sgarbi nella gita sul Po Foto: Sgarbi nella gita sul Po
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Ogni volta che m’appare -ma anche quando non m’appare- Vittorio Sgarbi, la sensazione è sempre quella del profumo pungente delle violette di padre Pio. 

Trattasi di un’inevitabile fragranza d’eternità che provo da quand’ero al liceo. Roba che, misteriosamente, oggi, assale anche i miei bambini i quali conoscono Sgarbi solo nella versione di maschera televisiva via Youtube. I miei figli usano apostrofare i loro compagni di classe più stronzetti col «Capra! Capra! Capra!», un’invettiva  coniata da Sgarbi contro il Trio Medusa in chiave antiquerela. Io cerco sempre di dissuadere i  miei piccoli dall’abuso dell’imprecazione. Ma non funziona mai.

Hai voglia a dir loro che oltre la maledetta lucina della telecamera, Vittorio abbandona l’idea dell’imbonitore di se stesso; e si presenta per quello che è in realtà. Ossia il figlio della provincia più colta, e di una famiglia che è un pezzo della cultura italiana: Giuseppe padre farmacista scopertosi scrittore best seller dopo gli ottanta; Rina madre demiurga; Elisabetta sorella scrittrice, produttrice, editore de La Nave di Teseo anch’essa farmacista con un ineffabile “senso delle dosi”. Al di fuori dal circo mediatico che alimenta da un quarantennio, Sgarbi è uno storico e critico d’arte inarrivabile; è amministratore pubblico con un senso dello Stato sviluppato almeno quanto quello dello spettacolo (ora mi risulta sindaco di Sutri, nel viterbese); è uomo di mitezza e educazione imbarazzanti. Ma non è questa la notizia. La notizia è che Sgarbi, in questi giorni, sta compiendo 70 anni. 

Ed è impegnato in un compleanno itinerante per l’Italia che, per fatica e inventiva, stroncherebbe un toro. Prima Vittorio ha imbrancato più di 200 persone –vip, artisti, critici e groupies- su un battello che ha allegramente girato il Po, come nei racconti tragati Rai di Mario Soldati. Poi ne ha radunate altrettante a Milano, a casa del finanziere Francesco Micheli, in una festa apparecchiata –nonché registrata da una telecamera carezzata da  un tulle svolazzante- dall’amata sorella Elisabetta. Poi chissà altro. La festa milanese s’è all’improvviso trasformata in una potente dissertazione sull’arte: in un viaggio narrativo che passava dall’Annunciata di Antonello da Messina alla foto della Ragazza afghana di McCurry, dalla Morte di Caravaggio a quella di Pasolini, dall’ultima Cena di Leonardo alla posizione basculante a trequesti di Lilli Gruber nelle inquadrature di Otto e mezzo. Dopodiché, tagliata la torta, Sgarbi ha donato agli ospiti un libro pregiatissimo, Festschrift per Vittorio Sgarbi –Settanta scritti e altrettanti auguri  pubblicato da Franco Maria Ricci in tiratura privata, estetizzante e fuori commercio. Un oggettino in carta di pregio confezionato sulla scia grafica della leggendaria collana dei classici voluta fortemente da FMR diretta negli anni 80 da J.L. Borges (lì le copertine erano nere, qui rossa).

 In quest’omaggio un tantinello agiografico, Vittorio viene descritto via via come “un puer aeternus come Don Giovanni indisponibile a diventare adulto”; con la sorella che ha benignamente preso il ruolo di madre della Rina, con le figlie Alba e Evelina che lo “amano teneramente come fossero le sue fidanzate”. E viene trattato come un mix esplosivo “tra Achille e Ulisse, Robinson Crusoe e Pinocchio, tra Narciso e Boccadoro”. E se ne esaltano l’eloquio, le provocazioni (anche gli eccessi, quando si fece riprendere sul water col libro di Di Maio) , i  gesti, la voce che –scrive Barbara Alberti- “gira sempre con certi toni romanzeschi o da film con Amedeo Nazzari negli anni 40”.

 Nel libro le sue apparizioni notturne si assimilano al silenziosamente chiassoso ologramma dell’Invenzione di Morel di Adolfo Bioy Casares che si muove su piani terzi dell’esistenza. Le  intemperanze sgarbiane richiamano la scelta di aver fatto delle “vita un’opera d’arte”, ricorda Moni Ovadia, citando per lui la Shoah e il teatro di Kantor; che all’apparenza non ci azzeccano nulla ma con Sgarbi, in realtà con lui ogni cosa s’illumina e ritrova un suo ancestrale reallineamento...

 

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