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Andrea Purgatori, la sua lezione: quando la cronaca diventa un film

Il giornalista ha legato il suo nome soprattutto all'inchiesta sulla tragedia di Ustica Ed è stato il primo a sceneggiare i suoi servizi, come si fa nell'informazione attuale . Fu uno dei grandi del Novecento

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Andrea Purgatori Foto: Andrea Purgatori
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L’anchor man deceduto ieri all’età di 70 anni Era il nostro Bob Woodward, il cronista venuto dall’impossibile, sempre all’ossessiva ricerca della «miglior versione possibile della verità» (come insegnava, appunto, il collega Premio Pulitzer del Washinton Post, uno dei suoi modelli, ai tempi dello scandalo Watergate).
Andrea Purgatori era una presenza irradiante. Poteva contare su un vocione baritonale che contrastava con la battuta di cristallo; sulla ragnatela di rughe d’espressione coperta dalla barba biblica assai coccolata dalle telecamere; e sul sigaro acceso all’infiammarsi di ogni inchiesta. Purgatori, giornalista, scrittore, sceneggiatore, ieri scomparso a 70 anni per un male fulminante, sembrava uno di quei personaggi svogliatamente impetuosi dei romanzi di Jean Claude Izzo.

Molti di noi-compreso chi scrive -sono stati spinti a questo mestiere abbeverandosi alle leggendarie inchieste di Purgatori, appunto, da inesausto inviato del Corriere della sera. Prima fra tutte quella sulla strage di Ustica che riaprì il caso del DC9 Itavia dopo undici anni, fornendo inoltre al mondo quel film capolavoro di Marco Risi, Il muro di gomma, che vinse tutti i premi immaginabili.
 

STRAGI E DELITTI
Seguirono i casi scottanti del terrorismo internazionale e italiano negli “anni di piombo” e sullo stragismo, come il caso Moro. E poi venne un’imperlata di delitti di mafia dal 1982, fino alla cattura di Totò Riina. E arrivò Emanuela Orlandi (il suo ultimo lavoro per Netflix come autore è appunto Vatican Girl sulla ragazza scomparsa); e Vallanzasca; e la morte di Marco Pantani. Eppoi, Purgatori si concentrò sui reportage, descrivendo i conflitti più importanti del pianeta: la guerra in Libano del 1982 e quella tra Iran e Iraq degli anni ottanta, la guerra del Golfo del 1991, l’Intifada e le rivolte in Tunisia e Algeria. E qui rubò molta arte a un altro grande maestro, Ettore Mo: l’immenso globetrotter di via Solferino che fu il suo punto di riferimento estero, uno perennemente in viaggio su un cargo battente bandiera liberiana.
Purgatori era cresciuto alla scuola del rigoroso giornalismo d’America. Negli Stati Uniti aveva vissuto in gioventù, e lì si era formato, specie nella confezione delle inchieste e nella puntigliosa ricerca delle fonti.

Quando inciampava in una notizia Andrea non scendeva mai a patti con niente e nessuno. Invaso dal sacro fuoco, come cronista si nutriva di scoop. A cominciare da quando, a metà degli anni 80, l’allora direttore del Corriere Piero Ostellino lo piazzò a soli 32 anni sulla tolda della Cronaca di Roma del giornale; e lui, nella sua città, cominciò ad accarezzare la cronaca, nera e bianca, dal lato delle storie. E proprio in quella circostanza, a mio parere, si sviluppò il germe narrativo del ragazzo.

Di solito i grandi cronisti confezionano inchieste memorabili ma difettano nella scrittura; i grandi narratori, invece, scansano le notizie e si concentrano sul racconto. Purgatori si scoprì un formidabile condensato dei due. E fu così - mi piace pensare, partendo dalla lezione di A sangue freddo di Truman Capote - che il giornalista si mise la giacca dell’autore, riuscendo nell’impresa di trasformare i grandi casi di cronaca in scintillanti sceneggiature cinematografiche. Che, in seguito nel ciclo del programma Atlantide su La7 avrebbe reinterpretato in docufilm televisivi.

Era, il suo un format trasversale. Ci avevano provato in tanti - da Flaiano a Montanelli, da Steinbeck a Hammett in America-: epperò Andrea, a nostra memoria, era stato l’unico a riuscire a eccellere sia nel cinema che nella carta stampata, sia in tv che nell’editoria. Il suo eclettismo è paragonabile, forse, alla produzione ipercinetica di Maurizio Costanzo: solo che Andrea, rispetto a Maurizio, aveva meno pubblico ma un coté più internazionale.

E se i suoi pezzi facevano capolino su diverse e importanti testate giornalistiche, dall’Unità a Vanity Fair a Le Monde diplomatique, fino all’Huffington Post, il cinema era la sua seconda casa. La realtà a filo di racconto era un brand che mostrava con orgoglio ai suoi studenti di sceneggiatura. Bastano tre suoi titoli di film per evocarne la pulsione letteraria: Il muro di gomma (in cui appare, hitchcockianamente, in tre -quattro cameo), Fortapasc e Il giudice ragazzino sulla vita del giovane magistrato ucciso dalla mafia Rosario Livatino.

CAMERATI
Andrea era anche un cazzaro meraviglioso. Tutti lo ricordano, come attore, nel ruolo esilarante del “camerata Fecchia” in Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti; o nei vari episodi di Boris, o nelle pellicole di Carlo Verdone. Ma l’ottimo critico cinematografico Michele Anselmi posta una foto di Purgatori che mi era sfuggita: Andrea nei panni di un rabbino ortodosso con tanto di treccine in Io c’è di Alessandro Aronadio, una commedia grottesca che evoca certi guizzi di Woody Allen. Comunque la si pensi, Andrea Purgatori è stato uno dei grandi giornalisti del ’900. Non esagero. Muore nel giorno della commemorazione di Paolo Borsellino, oggetto di una delle sue indimenticate inchieste. Purgatori lascia una moglie, tre figli Edoardo, Ludovico, Victoria, un impegno ecologista (fu presidente di Greenpeace) e l’aspirazione - senza traccia retorica - a un mondo migliore. La miglior versione possibile della verità...

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