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Il Festival di Rocco Papaleo, l'outsider

Festival

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Vito Riviello è un misconosciuto poeta potentino scomparso due anni fa, noto per la sua antologica del'97 Assurdo e familiare (che, per inciso e l'esatta definizione che si può attagliare al Festival di quest'anno).  Quando Rocco Papaleo ne ha citato il verso «un campo di girasoli a Cortona d'Arezzo/ un campo di paraculi a Cortina d'Ampezzo» a chiosa della puntata di un Sanremo ingoiato dal buco nero di Celentano; be', in quel preciso istante, la sensazione è stata di sollievo. Sollievo, e allegria, e ridimensionamento dell'umane cose. In quell'istante abbiamo pensato che quel piccolo attore lucano amato da Veronesi e Monicelli, quel Woody Allen terronico con l'espressione atterrita di uno a cui hanno “appena comunicato che gli hanno fregato la macchina” (copyright Tony Damascelli), fosse l'unico normale in uno show senza nè capo nè coda. Papaleo ha un'ironia sottile. Transita da Totò a Neil Simon; e sosta dalle parti del primo Stefano Benni. Con Sanremo, Papaleo non c'entra un piffero. Eppure il suo monologo sul “Treno dei tentativi e dei rimpianti” scorreva sul palco dell'Ariston meglio di tutte le canzoni. «Al mio paese c'è una stazione dove è impossibile perdere un treno, perchè non ne passano...», ha attaccato Papaleo accompagnato da un pianista jazz abruzzese che «ha conosciuto la moglie al bar, luogo molto più frequentato del conservatorio...». E poi l'attore è svolazzato, di metafora in metafora, sul fantasma del padre, su una squadra intera di pallavolo femminile compressa in una locomotiva, su quella generazione di genitori - la nostra- che partono già in debito coi propri figli; e l'ha fatto con un'ironia lieve che nulla aveva a che vedere con le cupezze celentanesche fino ad allora mostrate. Sentivi da palco quasi l'odore acre della terra del sud e degli ulivi secolari; vedevi quasi spuntargli ai lati, i muretti a secco aggrappati ai fichi d'india, e dietro l'ombra dei paesani in processione col santo patrono. Roba semplice e immediata, in contrasto con la scenografia spaziale, le vallette gnocche e gli effetti speciali. Papaleo, quello del David di Donatello, di Basilicata coast to coast è, al Festival, l'unico personaggio in linea con la nuova sobrietà del nuovo corso politico, di cui pochi sembrano accorgersi. Pochi in Rai. Perchè invece gli spettatori sono diversi dai palinsestari. Il picco dell'ascolto, 16,5 milioni di telespettatori, è stato raggiunto proprio con l' ingresso in scena di Papaleo in loden blu e cartelletta alla Mario Monti, «rigore, sobrietà, responsabilità: dopo il governo tecnico, il conduttore tecnico». Il picco non è stato su Celentano. É stato su Papaleo. Che è come dire che Gattuso ha oscurato Beckham. Ancora più spiazzante è stato il commento in sala stampa dell'attore all'enorme risultato d'ascolto della prima puntata costellata dalle ovvietà del Molleggiato, dal malfunzionamento del meccanismo di voto, dall'angusto spazio dato ai cantanti (ah già, ci sono anche le canzoni...). Mentre tutti, da Morandi a Mazzi gongolavano per i 14 milioni di spettatori raggiunti, Papaleo era l'unico, onestamente ad ammettere: «Non mi sembra che un grande ascolto corrisponda a grande qualità. Non sempre i grandi incassi cinematografici corrispondono al cinema migliore. Forse in televisione è diverso, ma sono qui per migliorare». Sì, in televisione è diverso, caro Papaleo; ma da oggi potrebbe migliorare. Però, per favore, lei non migliori mai...

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